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Non dividiamo più il Paese! PDF Stampa E-mail
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In occasione della festa della Repubblica, voglio dare, un mio modestissimo contributo per la ricerca di una soluzione di ampio respiro della tragica situazione politica e sociale italiana.

 

Undici lunghissimi anni fa scrivendo  le conclusioni della mia tesi di laurea in Sistema Politico Italiano, prospettavo lo scenario della politica e della società italiana. Allora era vigente ancora il Mattarellum, oggi è vigente il Porcellum, che, possiamo dire, ha ulteriormente aggravato la situazione.

La ricetta per far superare la stasi istituzionale presente nel nostro paese è ancora valida, dopo undici lunghissimi anni la situazione politico-sociale italiana è prossima all'implosione. Possibile che nessuno ne tragga le conclusioni e la si smetta di fare da una parte e dall'altra la caccia alle streghe e ci si segga ad un tavolo di trattativa per rendere vivibile la vita politica e consequenzialmente tutta la vita italiana?

(Stralcio da "La rappresentanza politica e la rappresentanza degli interessi", pubblicata da Società e Politica srl)

UN APPUNTO ALLE PROPOSTE DI RAPPRESENTANZA

Abbiamo[1]considerato il dibattito politico che dagli anni Novanta è in corso in materia di riforma elettorale giungendo fino alle proposte temporalmente più vicine a noi.

Ciò che ci preme sottolineare è che l’intero dibattito politico sulla questione del sistema elettorale e di conseguenza tutte le proposte formulate sono frutto, secondo noi, di un errore di fondo, figlio della prima ondata anti-sistema, consistente in una voglia, andata delusa in Italia, di democrazia maggioritaria al fine dell’individuazione di veri responsabili della cosa pubblica dopo le <<sconcertanti scoperte>> fatte da <<tangentopoli>>. Ora ci chiediamo: si sono fatti passi avanti sul piano dell’individuazione di veri responsabili? O sono ancora le segreterie di partito – nei loro chiusi ed irresponsabili interessi - a centellinare il potere? Nella seconda Repubblica i cittadini hanno la possibilità di partecipare più attivamente alla politica? O si fa solo immaginare loro ciò facendogli credere di poter scegliere il governo?

Innanzitutto crediamo sia obbligatorio allargare il discorso, uscire dal mero dibattito sulla riforma elettorale e considerare cosa significherebbe democrazia maggioritaria in Italia, un Paese con una storia complessa e con fratture ancora profonde, alle quali bisogna far fronte in ogni istante. Seguendo Arend Lijphart abbiamo visto[2] quali siamo le condizioni per l’esistenza di una democrazia maggioritaria e su tale fondamento scientifico ci riteniamo autorizzati a sostenere che in Italia non sussista l’habitat per tale tipo istituzionale. Coloro che animano il dibattito politico solo in rari casi sembrano rendersi conto di ciò, eppure, dovrebbe essere intuibile per tutti che la concezione che si ha dell’alternanza nel nostro Paese è completamente sbagliata ed in opposizione con quanto dovrebbe aversi in un regime che pretenda essere di democrazia maggioritaria. Non si può essere desiderosi di democrazia maggioritaria ed al medesimo tempo avere paura dell’avversario nel caso debba essere questi a governare. L’opposizione alla maggioranza dovrebbe essere si forte, ma non brandire l’arma della piazza ogni qualvolta dei provvedimenti non siano di suo gradimento. Così, viceversa, la maggioranza non può servirsi della vittoria elettorale per schiacciare e zittire l’opposizione. Se così ci si comporta o se così ci si vuole comportare, ebbene di democrazia maggioritaria è sconsigliabile parlarne o bisogna cominciare a discuterne in maniera reale e non guardando solo agli, assai ipotetici, aspetti positivi. “Se i vari settori della società hanno una ragionevole fiducia reciproca, e condividono una comune concezione della giustizia, il governare a maggioranza semplice può ottenere un buon successo. Nella misura in cui questo accordo soggiacente manca, il principio maggioritario diventa più difficile da giustificare, poiché è meno probabile che vengano seguite [attraverso esso] politiche giuste. Tuttavia, possono non esistere procedure di cui ci si possa fidare, una volta che la sfiducia e l’inimicizia pervadono la società.”[3]Questa fiducia reciproca fra maggioranza ed opposizione e fra le altre minoranze non la avvertiamo, ma speriamo di non essere ancora all’ultimo stadio della vita sociale, prospettato da John Rawls, e per non correre il rischio di arrivarci bisogna far muovere la transizione in atto nel nostro Paese.

Andando controcorrente, si badi, rispetto a quanto si afferma nel dibattito italiano ma non a quanto a livello internazionale viene dichiarato dai maggiori politologi, riteniamo sia il sistema di democrazia consensuale quello che possa meglio gestire una realtà plurale come quella italiana. E’ venuto il momento di capirlo e di ricostruire quindi tutte le varie istituzioni in quest’ottica per non creare ibridi disfunzionali. Uno di questi ibridi è certamente il sistema elettorale odiernamente vigente in Italia, il Mattarellum  di cui conosciamo il difetto fondamentale: la creazione di ammucchiate elettorali sulle quali i rappresentati hanno ben poco da decidere venendo tutto gestito a partire dalla spartizione dei collegi sicuri dai partiti rimasti nel loro modus operandi totalmente distaccati e irresponsabili verso i cittadini. Ed infatti, un punto fondamentale che si dovrà toccare, se si vogliono porre in essere vere riforme e non simulacri di esse, è quello della democratizzazione dei partiti politici nell’ottica di una reale attuazione dell’art. 49 della Costituzione. I cittadini debbono essere messi in grado di partecipare per il tramite di partiti politici democraticamente organizzati alla determinazione della politica nazionale. Le riforme, quindi, non possono essere inutili esercizi di formalismo giuridico che tutto <<cambiano>> per far rimanere ogni cosa come prima. I partiti non possono continuare ad essere, come finora sono sempre stati nella nostra storia, il mezzo per l’attuazione di politiche volte a privilegiare determinati interessi a discapito di altri e soprattutto a discapito del superiore interesse dell’intera comunità. Se si opererà su questa linea l’istituzione della rappresentanza politica potrà veramente affermarsi e attraverso essa la cittadinanza tutta.

Non vogliamo certo eliminare, con l’affermazione della rappresentanza politica, la rappresentanza degli interessi. Quello che qui si è compiuto è un tentativo di divisione netta tra questi due istituti, purtroppo, odiernamente troppo contigui tanto da perdersi l’uno nell’altro. Che la rappresentanza degli interessi debba esistere è la società plurale che lo determina, ma gli interessi debbono essere visibili e le pressioni poste in essere debbono essere giuste, non possono estrinsecarsi in comportamenti di minaccia o corruttivi, perché, altrimenti, nell’uno o nell’altro caso si forzano i meccanismi del vivere democratico.

Come abbiamo già affermato[4] occorre una severa regolamentazione dei gruppi di interesse e di pressione, tale materia non può continuare a restare tutta impunemente sommersa.

Riforme del genere sarebbero, a nostro parere, epocali e la società che da essa scaturirebbe potrebbe maturare molto più velocemente in un ottica di rispetto di ogni tipo di diversità, in modo da non vedere più ridotta la politica ad un gioco per il potere tra fazioni meschinamente duellanti in difesa dei loro interessi.

[1] Supra, CAPITOLO II, 4. LA SCELTA DEL SISTEMA ELETTORALE: IL DIBATTITO POLITICO, 5. L’ULTIMO TENTATIVO DI RIFORMA ELETTORALE

[2] Supra, CAPITOLO I, 3. DEMOCRAZIA MAGGIORITARIA O DEMOCRAZIA CONSENSUALE?

[3] J. RAWLS, Una teoria, cit., p. 199

[4] Supra, CAPITOLO I, 5. GRUPPI DI INTERESSE E DI PRESSIONE

 

 
Bruno De Stefano. 101 storie di camorra PDF Stampa E-mail
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Bruno De Stefano, "101 storie di camorra che non ti hanno mai raccontato", Newton Compton, 2010, euro 9,90

Leggere e recensire questo volume di Bruno De Stefano è stato un vero piacere. Si tratta di 101 storie di camorra, raccontate in forma aneddotica, molto interessanti e veramente poco conosciute per i non addetti ai lavori. Fra tutte le storie raccontate quelle che più ci hanno interessato per una questione, soprattutto, di studio storico/giornalistico della camorra e di chi la racconta, sono  le due storie sul falso attentato a Roberto Saviano e sul falso pentimento di Raffaele Cutolo.

Nella cronaca nazionale, infatti, questi due episodi vengono raccontati come fondati sulla verità, il primo da Roberto Saviano ed il secondo, soprattutto, da parte di Rosaria Capacchione.

Perchè ci domandiamo si vuole a tutti i costi far passare queste notizie per vere, quando è accertata giudiziariamente la loro falsità?

Non tocca a noi deciderne il perché, ma certamente, stuzzicare la fantasia e l'intelligenza dei nostri lettori è doveroso, per aprire loro gli occhi contro le ricostruzioni di "regime" delle storie di camorra, che molto spesso, come vedremo, con questi due esempi sono totalmente differenti dai fatti registrati dalla magistratura.

La ricostruzione del falso attentato a Saviano, che viene fatta nel libro di Bruno De Stefano, mette in luce in maniera lampante quanto sia lontana dalla verità ciò che viene raccontato sulla stampa nazionale ed, in particolare, su quotidiani tipo "La Repubblica". Il falso attentato a Saviano intasò in maniera indescrivibile tutta la stampa e la televisione nazionale per mesi ed ogni tanto ancora se ne parla, nonostante il caso sia stato archiviato dalla magistratura da moltissimo tempo. La ricostruzione riportata da De Stefano è stata in realtà, fatta dalle colonne del "Corriere del Mezzogiorno" da Titti Beneduce e qui ci sentiamo in dovere di riportarla

"All'origine del caso c'era un banale equivoco, diventato però, a causa della tensione di quel momento un incubo nazionale. [...] La notizia che i Casalesi progettavano un attentato contro Saviano fu divulgata dallo stesso scrittore, che indicò la fonte della notizia nell'ex boss Carmine Schiavone. Poche ore dopo, l'allora coordinatore della DDA, Franco Roberti, diramò un comunicato per smorzare i toni e invitare alla prudenza: la Procura era estremamente scettica sulla vicenda. Solo ora, però, è possibile ricostruire con precisione cosa accadde. C'era stata una cena in un ristorante milanese nella quale un poliziotto aveva parlato con un amico di Roberto Saviano e del suo libro, Gomorra, diventato anche un film di successo. L'interlocutore del poliziotto aveva ipotizzato che la camorra casalese presto si sarebbe sbarazzata dello scrittore; un'ipotesi del tutto astratta, hanno accertato gli investigatori, una supposizione generica buttata lì nel corso di una chiacchierata informale. Il poliziotto, però, ritenne opportuno informare i suoi capi, che informarono  gli apparati di sicurezza, che informarono la Procura di Napoli. Si scoprì che l'amico del poliziotto abitava nella stessa provincia in cui risiedeva anche, in segreto e con un'altra identità, il pentito Carmine Schiavone: per il quale però il periodo di collaborazione con gli investigatori era prossimo alla scadenza e che da anni, ormai, lontano da Casal di Principe e dai suoi vecchi compagni d'affari. Saviano, già sottoposto da più di un anno a rigide musure di protezione, si preoccupò comunque. La notizia divenne un titolo di prima pagina su tutti i quotidiani nazionali. Per fortuna era falsa".

 

Peccato che il fatto accertato dalla magistratura che la notizia fosse totalmente falsa e fondata sul nulla più assoluto, però, non abbia ricevuto la stessa risonanza mediatica.

Venendo al falso pentimento di Cutolo ci tocca sottolineare in maniera forte e decisa che esso non è mai avvenuto nella realtà. Cutolo, purtroppo, non ha mai collaborato con la giustizia, non ha mai aiutato gli investigatori ad infliggere dei duri colpi alla criminalità organizzata, Cutolo sta all'ergastolo e mai uscirà di prigione, perché Cutolo mai si è pentito e mai è diventato un collaboratore di giustizia. Non capiamo proprio perché certi giornalisti, anche di esperienza, e ci riferiamo in particolare alla giornalista de "Il Mattino" Rosaria Capacchione si ostini con tenacia, a far passare sui media nazionali questa falsa notizia, addirittura dichiarando che solo con Cutolo lei ha parlato una volta perché lui si era pentito.

Eppure anche se Cutolo è in carcere da decenni gli investigatori non hanno mai dichiarato l'annientamento completo del suo esercito. Anzi, ci sentiamo di dire, che negli ultimi anni c'è stato un grosso aumento dei clan che si definiscono neo cutoliani, e se si definiscono in tal modo, un motivo ci sarà. Che Cutolo sia ancora un boss della camorra, lo si capisce anche dall'assedio da parte di suoi affiliati dell'ospedale napoletano dove nacque sua figlia pochi anni fa. Un ospedale blindato per ragioni di sicurezza, non dalle forze dell'ordine, ma dell'esercito dei cutoliani, che sono ancora vivi e vegeti, che dettano ancora legge nei comuni sotto il loro dominio, che stanno nuovamente allargando i loro confini, anche a causa del fatto che lo Stato già di per se disattento, in alcuni casi viene dirottatato dalla stampa di "regime" verso altri nemici da abbattere.

A nostro avviso la guerra contro la camorra dovrebbe essere totale e volta all'annientamento di ogni genere di clan e di cricca politico/imprenditoriale ad essa riferibile.

Ritornando al libro di De Stefano è da leggere tutto d'un fiato, un vero libro di racconti sulla camorra, per tenere vive le nostre coscienze con fatti reali e non con astruse fantasie.

 
Al voto dalle parti di Gomorra PDF Stampa E-mail
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Paolo Farina

Al voto dalle parti di Gomorra

Il pamphlet del giovane candidato

Palomar, 2010, euro 10,00

 

Ho avuto modo di leggere il libro di Paolo Farina e di ritrovare in esso, alcune delle mie esperienze personali dal punto di vista elettorale, dal punto di vista ideale e anche dal punto di vista della lotta al savianismo, che come tutti gli ismi deve essere condannato e non innalzato ad esempio da seguire, come, purtroppo, invece, troppi si ostinano con tutte le loro forze a gridare al mondo.

E’ un libro duro, che parla della nostra terra, soffermandosi in particolar modo sul capoluogo di provincia Caserta.

Racconta un’esperienza elettorale, di elezioni amministrative, le più difficili in assoluto nelle quali gareggiare, nelle quali non vale tanto la preparazione personale e politica, ma contano molto di più parentele, clientele e vero e proprio accattonaggio che nulla dovrebbe avere a che spartire con la politica.

Nella sua esperienza, nella sua amarezza, ho ritrovato la mia esperienza e la mia amarezza.

Nel suo racconto ho ritrovato il mio pensiero.

E’ molto crudo l’autore, nel raccontare la nostra terra e soprattutto i suoi abitanti troppo avvinghiati al loro essere camorristi dentro, che vuol dire cercare in ogni modo il sotterfugio, la scappatoia per tagliare sempre primi ad ogni costo il traguardo della vita, senza pensare che tutto ciò provoca quotidianamente un degrado sempre maggiore del nostro vivere.

Paolo Farina racconta benissimo anche un proprio vissuto familiare, una bruttissima esperienza collegata a fatti giudiziari che coinvolsero nei decenni appena passati il padre, che venne travolto dall’ondata di tangentopoli e di mani pulite. Ondata che travolse, troppe volte, anche persone onestissime, ma che hanno dovuto comunque subire anni ed anni di processi, arrivando infine a sentenze di assoluzione che non fanno altro che lasciare ulteriore amaro in bocca, guardando l’infimo livello della politica di oggi e rammentando, invece, quello che fu distrutto dalla ghigliottina mediatico/giudiziaria dell’inizio degli anni ’90 del Novecento.

Scrivo questo da ex militante dell’Italia dei Valori – Lista Di Pietro! Troppo spesso si è sbagliato con giudizi sommari e si è distrutto un ceto politico, che rispetto all’attuale era sicuramente maggiormente preparato ed aperto al dialogo costruttivo per il bene della comunità e non per mero tornaconto personale. La deriva dittatoriale di quel partito politico, in cui per due ani ho militato, è oggi, probabilmente, la riprova, che con quelle operazioni degli anni '90 non si voleva fare vera pulizia nella politica, ma semplicemente mandare a casa un ceto politico per sostituirsi ad esso.

Da moderato spero che un giorno un vera politica di servizio possa realizzarsi per il bene di tutti, se non per il nostro bene, almeno per il bene dei nostri figli.

 

Nota biografica sull’autore

Paolo Farina è un geologo quarantenne con la passione per la narrativa.

Specializzato in idrogeologia e pianificazione del territorio, s’era cimentato in passato solo con scritti scientifici (Il Piano Domitio, CLEAN Edizioni 2000), oltre a collaborare con diverse riviste («Frammenti») e quotidiani («Il Giornale di Caserta») su politiche ambientali.

Nato a Caserta, ha studiato a Roma e a Città di Castello e ha lavorato in Australia, in Belgio, a Milano, a Torino e a Palermo.

Sposato, con due figlie, dal 2004 vive e lavora tra Caserta e Napoli dove ha infine trovato modi e tempi per concretizzare quel sogno: diventare uno scrittore.

Nel 2009 è uscito il suo romanzo d’esordio, Del nostro sangue (Palomar).

Questo è il suo primo esperimento nel campo della saggistica, ma è meglio dirlo a bassa voce.

 
'ndrangheta - le radici dell'odio di Antonio Nicaso PDF Stampa E-mail
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Antonio Nicaso, 'ndrangheta - le radici dell'odio - con un'intervista a Nicola Gratteri, Collana i lunatici, Aliberti Editori, euro 16,00

Il libro scritto da Antonio Nicaso sulla 'ndrangheta è un vero riflettore acceso su questa potentissima forma di criminalità organizzata.

Nel libro di Nicaso non si fa retorica, non si fanno romanzi, non si fa quella che molti hanno definito antimafia del giorno dopo o che

altri ancora hanno, come Leonardo Sciascia,  con disprezzo chiamato professionismo dell'antimafia.

E' un libro serio, documentato, che da ampio risalto a chi realmente si occupa dei fenomeni di criminalità organizzata, come, ad esempio,

Umberto Santino del Centro Impastato che, invece, con il romanziere Roberto Saviano, ha dovuto aprire una questione di natura

legale nei confronti della Casa Editrice Einaudi, che ha pubblicato un lavoro di Saviano che non rendeva nessun servigio alla verità

dei fatti e che non accennava neppure minimamente alla figura di combattente e di studioso della criminalità organizzata di Umberto

Santino.

Chi vuole documentarsi e conoscere realmente la 'ndrangheta, troverà nel libro di Nicaso un sicuro e buon punto di partenza,

perché per combattere non c'è bisogno solo di buon volontà e di buoni propositi, ma anche di conoscenza reale di come stanno i fatti

e non romanzi pretestuosi e autoreferenziali.

Per chiudere voglio riportare questa frase che ho trovato nel libro "per troppo tempo la 'ndrangheta è stata sottovlutata. Ora è arrivato

il momento di mettere da parte la retorica dell'antimafia, per aggredire senza soluzione di continuità i patrimoni delle 'ndrine, per spezzare la

logica del clientelismo e per svuotare le sacche del bisogno. E' tempo di agire e sono necessarie scelte coraggiose".

Che dire di più?

Io resto in Italia perché ci sono queste cose serie da fare e non per fare avanspettacolo!

 
Sud - Un sogno possibile. Un libro da non perdere di Renato Brunetta PDF Stampa E-mail
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Renato Brunetta, Sud – Un sogno possibile, collana Saggine, Donzelli Editore, 2009, euro 16,00

E’ per noi un onore poter recensire sul nostro sito il libricino Sud del ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione prof. Renato Brunetta. Un ministro che fa della provocazione, il suo fattore di sviluppo per uscire dal pantano in cui si ritrova l’Italia. Provocazioni che troppo spesso vengono mal comprese dai suoi denigratori.

Sud è un piccolo ma grande libro, proprio come l’autore del libro è un piccolo ma grande uomo, che deve sopportare gli sfottò della satira più becera dei comici della sinistra.

Sud è insieme diagnosi e cura per il meridione d’Italia, è un libro di idee, è una ragnatela di punti nevralgici da rafforzare, da creare o da eliminare per far partire il sud.

Il prof. Brunetta ci dice che “Il Sud ha bisogno di un nuovo intervento straordinario, ma solo nel senso di mobilitare e mettere a sistema (in rete) strumenti ordinari per obiettivi e risultati straordinari: ovvero, attivare risorse umane, finanziarie e strumentali straordinarie per valorizzare e sviluppare le potenzialità dell’esistente”.

Uno dei punti cardine trattati è quello dell’eliminazione della criminalità organizzata dalla vita del Sud, solo partendo da questo punto iniziale, si potranno poi sviluppare gli altri punti necessari per il concreto sviluppo del meridione. La legalità è il primo punto della sua agenda personale per il sud. Dobbiamo dire di condividere pressoché totalmente questa sua analisi. Continuare ad investire sul marciume illegale, che oggi il sud è, è inutile, anzi è dannoso, perché non si farebbe altro che foraggiare ed arricchire ulteriormente chi sguazza nel malaffare.

Il Prof. Brunetta afferma senza mezzi termini che il problema del sud, deve interessare anche il nord d’Italia e d’Europa, perché il sud può diventare la porta verso tutto il bacino del mediterraneo, che sta crescendo a tassi molto più sostanziosi di quelli europei e che quindi sarà presto un fattore di sviluppo per la stessa Europa.

L’Italia non può mancare questo appuntamento con il futuro, un futuro che passa anche dal nostro sud, dalle nostre terre, dalle nostre idee. Speriamo di vederlo questo futuro forse è la nostra ultima possibilità di uscire dal sottosviluppo.

 

Renato Brunetta è professore ordinario di Economia del lavoro presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

 

 

 
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