Diritti umani: che ruolo hanno svolto realmente nel corso della storia?
Dopo l'unificazione del 1861, l'Italia adottò la forma di governo monarchica. La prima Carta
Costituzionale che l'Italia ebbe fu lo “Statuto Albertino” concesso da Carlo Alberto nel 1848 ai suoi
sudditi. Si trattava di una Costituzione breve che conteneva pochi articoli sui diritti dei cittadini e
flessibile, in quanto poteva essere modificata facilmente tramite leggi ordinarie.
Dal Fascismo alla liberazione
Tra il 1922 e il 1943 il nostro Paese conobbe uno dei periodi più cupi della propria storia: il
fascismo. Sotto il regime totalitario fascista, guidato da Benito Mussolini, furono adottati
gravi provvedimenti normativi, tra cui le leggi fascistissime del 1925, che comportarono la
soppressione delle libertà sindacali e civili, e le leggi razziali del 1938, che introdussero
pesanti discriminazioni verso gli ebrei. Nel 1940 l’Italia fascista entrò in guerra alleandosi
con la Germania di Hitler. Dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, contrassegnata
anche dalla lotta interna tra partigiani , sostenitori della liberazione nazionale, e i
repubblichini, che sostenevano l’ occupazione tedesca, nel 1945 si realizzò la liberazione
nazionale, festeggiata ancora oggi il 25 aprile di ogni anno.
Dalla Monarchia alla Repubblica.
Il 2 giugno 1946 si svolse una consultazione popolare per eleggere i 556 membri dell’
Assemblea Costituente, cui fu affidato l’ importantissimo compito di scrivere il testo della
Costituzione. Furono le prime elezioni libere dopo 25 anni e per la prima volta furono
ammesse al voto anche le donne ( suffragio universale: diritto di voto concesso a tutti i
cittadini che abbiano raggiunto una determinata età, senza discriminazione di sesso razza,
fede politica o religiosa e reddito.) Lo stesso giorno gli italiani si pronunciarono, mediante
referendum, sulla scelta tra monarchia e repubblica. Il popolo scelse per lo Stato italiano la
forma Repubblicana. Il 28 giugno del 1946 l’Assemblea Costituente elesse il Capo provvisorio
dello Stato: Enrico De Nicola. La Costituzione fu approvata il 22 dicembre 1947 ed entrò in
vigore il 1° gennaio 1948.
LA STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE E I SUOI CARATTERI
La Costituzione è la legge per eccellenza dello Stato. La nostra Costituzione è suddivisa in
due parti, a loro volta scandite in Titoli: La Parte I ( Art 13-54) si occupa dei diritti e dei
doveri dei cittadini; la Parte II si riferisce all’organizzazione dello Stato (art.55-139). La Parte
I è preceduta dai Principi fondamentali ( art.1-12), in cui si sono voluti evidenziare i
fondamenti della Repubblica italiana: la democrazia, il lavoro, l’uguaglianza dei cittadini,
l’organizzazione dello Stato regionale, la libertà religiosa, il rifiuto della guerra. Questi
principi sono detti fondamentali, perché non possono essere mai modificati. Rappresentano
l’essenza della nostra Costituzione. Inoltre il testo Costituzionale si conclude con 18
Disposizioni transitorie e finali predisposte per consentire il passaggio dal regime
monarchico a quello repubblicano.
LA STRUTTURA DELLA COSTITUZIONE
Principi fondamentali Artt (1-12): Esprimono i principi Ispiratori di tutta la Costituzione.
Parte I: diritti e doveri dei cittadini Artt. (13-54) - disciplina i rapporti tra lo Stato e i
cittadini: rapporti civili, etico-sociali , economici e sociali.
Parte II: Ordinamento della Repubblica Artt(55-139)- indica la posizione e le competenze
degli organi statali.
Disposizioni: transitorie e finali (18 articoli) per facilitare il passaggio del vecchio regime al
nuovo.
I Caratteri della nostra Costituzione:
La nostra Costituzione è democratica, popolare e rigida( cioè modificabile solo attraverso la
procedura di revisione costituzionale). È inoltre lunga, per il fatto di dedicare ampio spazio ai
diritti dei cittadini. La parola democrazia deriva dal greco démos Kràtos che significa potere
del popolo, più precisamente governo del popolo, ossia un sistema di governo in cui la
sovranità è esercitata direttamente o indirettamente dal popolo. L’ art. 1 della nostra
Costituzione dice che: “L’ Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene
al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” L'art.2 garantisce la
tutela dei diritti umani che furono fortemente limitati nell’epoca fascista. Esso dice che :” La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’ uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Quindi viene sottolineata
l’importanza dei diritti umani sia quando sono esercitati in maniera singola sia in maniera
collettiva.
Ad esempio la libertà di manifestare il proprio pensiero è un diritto che appartiene al singolo
individuo, mentre la libertà di riunione e di associazione è un diritto collettivo che riguarda
un insieme di persone. I diritti umani occupano ampio spazio nella nostra Costituzione,
proprio per il fatto che i nostri padri Costituenti hanno subito delle profonde ingiustizie e
discriminazioni al punto tale da vedere annullare l’uomo come “ persona”. I diritti umani
sono quei diritti che nascono con la persona. Essi sono inalienabili e devono essere
riconosciuti a ogni persona per il solo fatto di appartenere al genere umano,
indipendentemente dalle origini, appartenenze o luoghi ove la persona stessa si trova. Con la
dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle nazioni unite, veniva scritto per la prima
volta che esistono diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la sola ragione di
essere al mondo. Fanno parte di questi diritti i diritti fondamentali di dignità, eguaglianza,
libertà, fratellanza, il diritto alla vita, la proibizione della schiavitù, della tortura, il diritto di
uguaglianza di fronte alla legge che viene riconosciuto anche dall’art.3 della nostra
Costituzione che dice: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Nel comma 1 dell’ art 3
viene affermato il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, secondo il
criterio della cosiddetta uguaglianza formale. Nel secondo comma si sostiene invece
l’impegno attivo dello Stato a eliminare gli ostacoli che dovessero impedire la realizzazione
pratica del principio di uguaglianza, l’impegno che si traduce nel criterio di uguaglianza
sostanziale. I nostri Costituenti hanno voluto evidenziare, nella struttura dell’ art 3, che lo
Stato non deve limitarsi ad affermare un principio, ma deve anche attuare le condizioni
perché esso sia concretamente realizzato. Ogni persona deve essere rispettata per la propria
identità e individualità senza subire discriminazioni. Fanno parte dei diritti umani anche il
diritto alla libertà di movimento art.16, di pensiero e di espressione art.21 sancisce la libertà
di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione,
diritto all’ istruzione art.34, diritto al lavoro art.4.
L' art 17: stabilisce la Libertà di riunione.
L'art.18 prevede la libertà di associazione.
L'art 36 stabilisce che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e
alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia
un'esistenza libera e dignitosa.
L' art 32 parla del diritto alla salute e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Infine l'art 34 diritto all'istruzione...l'istruzione è strumento per il pieno sviluppo della
persona umana.
Questi diritti se violati determinano un’ offesa alla stessa essenza umana. I diritti umani sono
senz’altro un utile strumento per educare le nuove generazioni alla comprensione di quei
valori e di quei diritti che sono alla base della convivenza civile. La nostra Repubblica pone al
centro di tutto la tutela di questi diritti, perché la tutela della Persona è anche sinonimo di
crescita del nostro Paese. E’ il trampolino di lancio dello sviluppo di un Paese con la P
maiuscola. I diritti umani, che faticavano a farsi rispettare, furono totalmente calpestati, ad
esempio, nel periodo della prima rivoluzione industriale (1760-1830 circa): da un sistema
basato sull’agricoltura, sull’artigianato e sul commercio, si passò a una programmazione di
tipo industriale caratterizzata dall’uso generalizzato di macchine azionate da energia
meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate. Una conseguenza del
ribaltamento avvenuto nei programmi, nei metodi e nei processi produttivi fu l’indurimento
dei rapporti tra gli attori produttivi. I salariati furono sempre più spinti in una posizione
subalterna. Nonostante lavorassero per più di dodici ore al giorno, ottenevano un
corrispettivo economico minimo. Gli imprenditori, proprietari delle fabbriche e dei mezzi di
produzione, accentuarono un potere di direzione e di controllo guardando soprattutto
all’incremento del profitto. Gli operai erano sfruttati e la famiglia si trasformò
profondamente perché i salari erano talmente bassi che entrambi i genitori dovevano
lavorare e mettevano al mondo molti figli affinché guadagnassero anch'essi. In molti casi,
però, i bambini che lavoravano nelle fabbriche erano stati abbandonati oppure erano orfani.
Per alcune operazioni, la piccola taglia dei bambini e l’agilità delle loro dita erano il migliore
ausilio per le macchine. La loro debolezza era una garanzia di docilità. Senza fatica li si
poteva ridurre in uno stato di obbedienza passiva cui gli uomini maturi non si lasciavano
facilmente piegare. Nelle prime filande la sorte di questi bambini fu particolarmente penosa.
Alla mercé dei padroni erano sottoposti ad una schiavitù disumana. I capireparto non
permettevano un momento di pausa. Spesso per non fermare le macchine il lavoro
continuava giorno e notte. Gli infortuni erano molto frequenti e la disciplina era selvaggia. Il
loro stato intellettuale e morale non era migliore. Uscivano dalle fabbriche ignoranti e
corrotti. Durante la loro schiavitù non solo non avevano avuto nessun tipo di istruzione, ma
non avevano neppure ricevuto l’educazione professionale necessaria per guadagnarsi da
vivere. Sapevano eseguire soltanto l’operazione alle macchine cui erano stati incatenati per
lunghi anni. Erano, pertanto, condannati a rimanere semplici schiavi legati alla fabbrica
come i servi della gleba alla terra. I salariati (bambini orfani o abbandonati, donne e uomini)
pur di essere inseriti nei cicli produttivi, accettavano condizioni lavorative disumane (orari
estenuanti, vitto scadente, prossimità a sostanze nocive per la salute, punizioni, umiliazioni,
violenze). Chiunque poteva perdere immediatamente il lavoro in caso di malattia (legata in
genere ad ambienti insalubri e alle condizioni lavorative), di gravidanza, di infortuni
(frequenti, per l’assenza di misure protettive). Non esistevano forme di assistenza per chi
diventava invalido (la colpa, all’origine dell’evento, era sempre attribuita al salariato) e per
chi era stato allontanato dal luogo di lavoro. Per i motivi esposti, molti operai cominciarono a
discutere tra loro su possibili forme di auto-tutela in caso di eventi imprevisti e rovinosi
(malattia, infortunio, stato di invalidità, perdita del posto di lavoro). Seguendo un criterio di
concretezza, scelsero di accantonare dei fondi economici da utilizzare al verificarsi di
situazioni avverse. Fu la nascita delle prime società (o società operaie) di mutuo soccorso.
Esse vennero caratterizzate dal fatto che l’iniziativa nasceva all’interno dell’ambiente operaio
e che a gestire la cassa comune erano gli stessi lavoratori. Tali organismi di solidarietà
cominciarono a costituirsi intorno alla seconda metà dell’Ottocento. Il loro compito fu quello
di fornire ai lavoratori uno strumento di difesa. Con riferimento alle società di mutuo
soccorso, Don Bosco era convinto che tali organismi seguivano una logica valida sul piano
delle tutele: il loro fondo comune serviva, infatti, a sostenere il socio colpito all’improvviso da
avversità (infortunio, malattia) mentre era occupato in un lavoro. Ciò era importante perché,
in quel periodo storico, il venir meno di un guadagno era un dramma per le famiglie in
generale, e per quelle numerose in particolare. In tale contesto, nel 1849, il Santo fondò una
società di mutuo soccorso, ne pubblicò il regolamento e ne fissò l’entrata in vigore (1° giugno
1850). Nell’ambito di tutela dei diritti, proprio Don Bosco, in questo periodo, svolse un ruolo
importante: nel suo amore per i ragazzi più poveri ed abbandonati ha anticipato, sotto tanti e
molteplici aspetti, teorie ed opzioni della moderna pedagogia e, in particolare, la visione che
oggi definiamo basata sui diritti umani dei bambini e degli adolescenti. In un contesto in cui
il bambino, il ragazzo “bisognoso” - perché povero, analfabeta, abbandonato, migrante- è
visto come un deviante, una minaccia per la società, cui corrispondono politiche repressive
da parte delle istituzioni, Don Bosco ribalta la visione e l’approccio educativo, e dà fiducia al
ragazzo, crede nelle sue capacità come persona, soggetto del proprio sviluppo e di quello
della comunità in cui vive, inventando e mettendo in pratica un nuovo sistema educativo: il
“Sistema Preventivo”. Don Bosco, oltre a migliorare le condizioni di vita di tali ragazzi sia a
livello “fisico” che “dell’istruzione” si preoccupa anche di donare affetto e cure ai suoi ragazzi,
forte della convinzione che “i ragazzi non devono solo essere amati, ma devono sapere di
essere amati”. I Salesiani oggi sono probabilmente l’agenzia educativa più rappresentativa al
mondo. Da sempre, come parte integrante del loro stesso carisma, i Salesiani di Don Bosco
sono molto sensibili al tema delle violazioni dei diritti umani, in particolare dei bambini e
degli adolescenti. Fondamento dei diritti umani per noi è la dignità di ogni persona, inscritto
nella natura umana; i diritti umani per noi appartengono al disegno di Dio sull’uomo e sulla
donna, “senza distinzione alcuna, di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di
altra condizione”.
Come detto in precedenza, il tema della violazione dei diritti riguardava anche le donne, le
quali, poi, erano anche sottoposte ad un’emarginazione in tema di diritti civili e politici
rispetto agli uomini. Durante la prima guerra mondiale, però, le donne iniziarono a rivestire
una maggiore importanza sociale, anche perché iniziarono ad assumere la gestione delle
fabbriche e ad essere reclutate in ambito lavorativo (con riconoscimento di importanti diritti
sul lavoro) mentre gli uomini erano al fronte: vennero introdotte scuole e asili nido per
conciliare gli impegni delle operaie, alle quali furono dedicati anche particolari corsi di
alfabetizzazione tenuti durante l’orario lavorativo. Un ruolo importante in materia di
riconoscimento di alcuni importanti diritti alle donne fu rivestito dall’imprenditrice Luisa
Spagnoli la cofondatrice della storica azienda Perugina. Luisa Spagnoli ha anche introdotto
nei suoi stabilimenti il diritto all’allattamento e il congedo retribuito di maternità: per lei le
donne non dovevano mai rinunciare alla propria indipendenza. Alla fine della Prima Guerra
Mondiale, ci si aspettava che alla Perugina le donne venissero licenziate per far posto agli
uomini tornati dal fronte, ma ciò non accadde per una precisa scelta di continuare a investire
sulle lavoratrici. In una recente intervista, la pronipote Nicoletta ha dichiarato: “Le vecchie
maestranze l’adoravano, specie quando negli anni Venti progettò il primo asilo aziendale. Poi
vennero le case per i dipendenti e negli anni perfino la piscina, tutto qui a Santa Lucia dove è
ancora l’headquarter dell’azienda. Faceva beneficenza, regalava i cioccolatini ai poveri,
sistemava gli orfani e faceva studiare le ragazze del popolo”. Luisa fu un imprenditrice
brillante e acuta, attenta al benessere e alla valorizzazione umana e professionale delle
proprie operaie.
Un altro esempio di violazione dei diritti è quello relativo al periodo storico caratterizzato
dall’instaurarsi dei regimi totalitari. Il totalitarismo è un idealtipo usato dagli storici per
definire un tipo di regime politico, affermatosi nel XX secolo al quale possono essere
ricondotti il nazismo, il fascismo e lo stalinismo. Uno Stato totalitario è caratterizzato
soprattutto dal tentativo di controllare capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita,
imponendo l'assimilazione di un'ideologia: il partito unico che controlla lo Stato non si limita
cioè a imporre delle direttive, ma vuole mutare radicalmente il modo di pensare e di vivere
della società stessa. Il termine totalitarismo, inoltre, è usato nel linguaggio politico, storico e
filosofico per indicare "la dottrina o la prassi dello stato totalitario", cioè di qualsiasi Stato
intenda ingerirsi nell'intera vita, anche privata, dei suoi cittadini, al punto da identificarsi in
essi o da far identificare essi nello Stato, assumendo tutto il potere ed eliminando ogni
garanzia costituzionale.
Tutti i totalitarismi sono accomunati da schemi quasi ripetitivi nel reprimere i diritti umani:
-repressione di ogni forma di dissenso e organizzazione di una propaganda metodica, che si
esplica attraverso adunanze e rituali di massa finalizzata ad ottenere il consenso: così,
attraverso l’esaltazione delle glorie nazionali italiane (fascismo), esaltazione della perfezione
fisica e spirituale degli ariani (nazismo) o di successi dei regimi comunisti (dittatura di Lenin
o Stalin) vengono a crearsi dei veri e propri culti delle personalità come Hitler, Mussolini,
Lenin o Stalin. Il culto di un solo e unico uomo, capo di tutto e tutti, della persona fisica e
morale.
-accentrare tutto il potere nelle mani di un capo indiscusso, una struttura gerarchica dello
stato basata sulla aderenza alla morale, un inquadramento forzato del popolo nelle
organizzazioni di massa, un rigido controllo su riviste, quotidiani e giornali d’informazione,
ma anche radio, cinema, manifestazioni pubbliche, scuola e cultura, tramite cui controllare la
stessa popolazione. Non c’era più libertà di espressione, di pensiero, di parola. Le lotte che
tanto avevano portato a poche sfumature di democrazia erano diventate un lontano passato.
-iniziative per l’educazione giovanile, sia con una riorganizzazione della scuola, sia istituendo
organizzazioni extrascolastiche dedicate ai più giovani. Si cercava di far leva sui più giovani, i
più “malleabili” e i più “educabili” in modo tale da creare dei perfetti burattini che, con il
tempo, sarebbero stati al servizio “del capo”, dei burattini nelle mani di un burattinaio,
pronti anche a dare la vita per il Duce o per il Führer .
-fondazione di una polizia politica in grado di reprimere con la forza eventuali ribellioni e
quindi divergenze di pensiero rispetto a quello principale. Tali corpi di polizia assunsero
nomi diversi a seconda del regime: in Germania la Gestapo, in Russia la Čeka e in Italia
l'OVRA.
-Istituzione di campi di lavoro forzato in Russia (Gulag) e campi di concentramento in
Germania dove le persone venivano spogliate di ogni loro diritto, a partire dalla dignità di
essere umano e sottoposti a lavori che andavano aldilà della sopportazione umana.
Come ben sappiamo il bene più grande che un essere umano possiede è senza dubbio la
possibilità di agire e di muoversi nel mondo che lo circonda in assoluta autonomia: in una
parola è la “libertà”.
Oggi sembra naturale che ciascuno di noi possa essere libero di esprimere la propria
opinione, di comportarsi come meglio crede, di vivere secondo le proprie convinzioni.
Non è stato sempre così, però.
Con l’entrata in vigore della dittatura molte delle libertà personali subirono delle restrizioni o
addirittura furono negate. Ormai, in un’epoca così cupa, bisognava anche prestare attenzione
a ciò che si diceva, altrimenti si correva il rischio, per gli oppositori politici, di essere uccisi.
Così accadde al politico socialista Giacomo Matteotti il quale, a seguito dell’elezione del
partito Fascista, che, con la violenza, era riuscito ad ottenere la maggioranza, prese la parola
alla Camera e denunciò l’invalidità delle precedenti elezioni. Sapeva di andare incontro alla
morte e infatti affermò: “Io il mio discorso l’ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per
me”. Quello fu l’ultimo discorso di Matteotti. Il suo corpo verrà ritrovato per caso una
mattina del 16 agosto del 1924. Il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini, allora Presidente del
Consiglio dei ministri del Regno d’Italia, pronuncia alla Camera dei Deputati il celebre
discorso sul delitto Matteotti. Tale discorso apre la strada alla dittatura, caratterizzata dalla
fine delle libertà civili e dal lancio delle “leggi fascistissime”. Pochi minuti dopo le 15,
l’onorevole Mussolini entra in aula, appare accigliato e scuro in volto (come annota il
cronista del Corriere della Sera). Il duce del fascismo liquida con un cenno della mano gli
applausi dei suoi accoliti e prende posto dietro il banco della presidenza. Quando l’onorevole
Rocco gli cede la parola Benito Mussolini parte all’attacco; quest’uomo messo con le spalle al
muro e creduto ormai spacciato dimostra subito che non scenderà a patti assumendosi la
responsabilità dell’attentato.
Quello di Matteotti è solo un esempio, ma al tempo di Mussolini, con l'emanazione delle leggi
razziali, ai cittadini considerati di razza inferiore vennero negati alcuni diritti che oggi
riteniamo fondamentali: vi erano censura e controllo sistematico della comunicazione e, in
particolare, si impediva la libertà di pensiero, di parola, di stampa, di associazione, di
assemblea, di religione. Contemporaneamente all’epoca del Nazismo di Hitler, erano
soprattutto gli ebrei ad essere sottoposti a diverse restrizioni, come il divieto di usare mezzi
pubblici, di frequentare scuole pubbliche, l’obbligo di consegnare le loro proprietà e di
registrarsi. Si innescava così un meccanismo di autocensura: per sopravvivere si preferiva
rinunciare non solo a esprimere le proprie idee, ma anche a pensarle. Non restava che
omologarsi alla dottrina espressa dal leader al potere.
Chi cercava di resistere, di mantenere la propria individualità e libertà interiore, perdeva
tutto, ma la sua autonomia, sommata alla resistenza di tanti altri nelle stesse condizioni,
minava alle fondamenta un regime dittatoriale, fino al suo crollo finale. Tuttavia, esistono
ancora oggi Paesi del mondo in cui, per motivi politici o religiosi, le persone non possono
manifestare completamente la propria identità. Pensiamo, appunto, alle limitazioni imposte
da alcuni regimi dittatoriali moderni, oppure all’imposizione del velo alle donne o alla
restrizione nei loro comportamenti, tipica dei regimi a fede musulmana.
Altre restrizioni furono imposte anche nella Germania del Fuhrer, ricordata principalmente
per i suoi atteggiamenti razziali. Il razzismo hitleriano non era quello di un europeo che
guardava gli africani dall’alto in basso. Hitler vedeva l’intero pianeta come un’”Africa” e
classificava tutti i popoli, europei compresi, in termini razziali. Su questo punto, come su
parecchi altri, si dimostrò più coerente di molti contemporanei. Il razzismo, dopotutto,
pretendeva di stabilire chi fosse pienamente umano. Le idee di superiorità e inferiorità
razziale si potevano applicare, dunque, a seconda del desiderio e della convenienza. Persino
le società confinanti, che potevano sembrare del tutto simili a quella tedesca, si potevano
definire diverse sul piano razziale. Scrivendo nel suo Mein Kampf (la mia battaglia) che
l’unica opportunità di colonizzazione per la Germania era offerta dall’Europa, era evidente
che Hitler scartava la possibilità di un ritorno in Africa, giudicandola poco realistica. La
ricerca di razze inferiori da dominare non richiedeva lunghi viaggi per mare, poiché erano
presenti anche nell’Europa orientale. Poiché il razzismo era una gerarchia di diritti imposta
al pianeta, si poteva applicare agli europei che vivevano a est della Germania. L’Africa come
luogo geografico era irrecuperabile, l’“Africa” come forma mentale si poteva universalizzare.
L’esperienza nell’Europa dell’Est aveva chiarito che anche i popoli confinanti potevano essere
“neri” e aveva reso plausibile l’idea che anche gli europei volessero dei “padroni” e fossero
disposti a cedere il proprio “spazio”. Dopo la guerra sembrava più comodo prendere in
considerazione un ritorno in Europa che in Africa. Come in altri casi, Hitler portò idee
indistinte a conclusioni di una durezza spietata. Disse che il gruppo culturale più numeroso
del continente – gli slavi, i vicini orientali della Germania – era una razza inferiore. È
importante ricordare il fatto che il nazismo non assunse mai come obiettivi la realizzazione
di una comunità di uomini solidali e in pace tra loro bensì un modello basato sulla
sopraffazione e sullo sfruttamento. La società a cui aspirava Hitler prevedeva la totale
assenza di Ebrei e una schiavizzazione degli Slavi . Essa doveva essere ovviamente priva di
dissenso politico e di qualunque altra possibile forma politica, senza criminalità, malati di
mente, persone affette da sindromi o da deficit fisici,omosessuali, zingari e appartenenti alla
comunità dei testimoni di Geova. Perciò tutte queste categorie di persone vennero rinchiuse
nei lager. Nel 1933 venne aperto il primo campo di concentramento fu quello di Dachau in
seguito alla rapida ascesa politica di Hitler. Furono necessari cinquanta milioni di morti,
sofferenze inaudite, distruzioni mai viste; furono necessarie due bombe atomiche, per
sconfiggere, infine, il delirio nazista e fascista di dominio di un popolo, visto come ‘razza’
eletta superiore, sull’intera umanità. Finalmente nel 1945 Hitler e i suoi alleati si arresero.
Nel 1948, l’Assemblea delle Nazioni Unite approvò la Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani che proclamava: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di
fratellanza”. L’idea di punire i criminali di guerra nazisti con un vero procedimento
giudiziario iniziò a farsi strada nel settembre 1943, quando a Mosca si riunirono i ministri
degli Esteri delle potenze in guerra contro la Germania. Da più parti, giuristi e intellettuali
iniziarono a raccogliere prove e a elaborare categorie giuridiche di tipo nuovo, per far fronte
all’impegno assunto. In URSS, scrittori ebrei come Il’ja Erenburg e Vasilij Grossman
iniziarono a mettere insieme documenti e testimonianze relative allo sterminio degli ebrei
attuato dai nazisti, con l’intenzione di pubblicare quello che sarebbe stato chiamato Il libro
nero. Il testo, ormai completato, fu tuttavia requisito da Stalin e vide la luce solo negli anni
Novanta, dopo il crollo del comunismo. Maggiore fortuna ebbe il giurista americano Raphael
Lemkin che, fin dal 1944, fu uno dei primi a rendersi conto della novità dei crimini nazisti: a
suo parere, essi erano così particolari, da richiedere una parola del tutto nuova. Lemkin,
pertanto, coniò l’espressione genocidio, a cui diede il seguente significato: «distruzione di
una nazione o di un gruppo etnico» nel suo complesso. Il genocidio, proseguiva Lemkin, «è
diretto contro il gruppo nazionale in quanto entità, e le azioni che esso provoca sono
condotte contro individui, non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri
del gruppo nazionale». Per tutti, le imputazioni erano quattro: cospirazione per condurre
una guerra di aggressione, crimini contro la pace, crimini di guerra, crimini contro l’umanità.
Per l’accusa, il ruolo principale fu assunto dal procuratore americano J.R.H. Jackson, che
spesso si trovò in palese difficoltà a collaborare con il suo collega sovietico Ion Nikitchenko: i
russi, infatti, a Norimberga, cercarono soprattutto di addossare ai tedeschi il crimine della
foresta di Katyn'. A giudicare i nazisti vi era una giuria composta da quattro giudici: uno
statunitense, uno sovietico, uno inglese e uno francese. Vennero inoltre nominati quattro
sostituti dei giudici principali, sempre appartenenti ai medesimi Stati. Alla fine di un
processo complessivamente equo, nel quale agli imputati fu concesso di parlare e di
difendersi, furono emesse undici condanne a morte, eseguite il 16 ottobre 1946; quattro
imputati furono assolti, mentre ai rimanenti furono inflitte lunghe pene detentive.
La questione dei diritti, quindi, è sempre stata un problema fondamentale che riguardava
tanto gli uomini che le donne. Durante la prima guerra mondiale, le donne divennero una
risorsa per il paese, e iniziarono a diffondersi i primi moti di emancipazione da parte di
migliaia di donne, che chiedevano il diritto di voto, e l’affermazione di pari diritti fra i sessi,
ma solo dopo la fine della seconda Guerra Mondiale riuscirono a farsi effettivamente
ascoltare. Infatti, dopo la seconda guerra mondiale, si ebbe il suffragio femminile che indica
il diritto di voto esteso alle donne. Il movimento politico avente come obiettivo quello di
estendere il suffragio alle donne è stato storicamente quello delle suffragette. Le origini
moderne del movimento vanno ricercate nella Francia del XVIII secolo. Tra i primi Paesi a
concedere tale diritto vi furono la Repubblica Corsa, le Isole Pitcairn il Granducato di
Toscana, la Nuova Zelanda. Alcuni di questi stati hanno avuto una breve esistenza e altri non
hanno mai avuto l'indipendenza. Un caso particolare riguarda la Svezia, dove ad alcune
donne fu concesso il diritto di voto durante l'età della libertà (1718-1771) ma tale diritto non
fu esteso a tutte. Il primo stato europeo a riconoscere il suffragio universale fu il Granducato
di Finlandia, con le prime donne elette in parlamento nel 1907. Il diritto di voto alle donne
fu introdotto nella legislazione internazionale nel 1948 quando le Nazioni Unite adottarono
la Dichiarazione universale dei diritti umani. Come stabilito dall'articolo 21:
1) Chiunque ha il diritto di prendere parte al governo del proprio paese, direttamente o
attraverso rappresentanti liberamente scelti. 3) La volontà del popolo dovrà costituire la base
dell'autorità di governo; questa sarà espressa mediante elezioni periodiche e genuine che si
svolgeranno a suffragio universale e paritario e che saranno tenute mediante voto segreto o
mediante procedure libere di voto equivalenti.” Il suffragio femminile viene anche
esplicitamente considerato un diritto sotto la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di
discriminazione della donna, adottata dalle Nazioni Unite nel 1979, sottoscritto da 189
nazioni. In Italia il suffragio femminile non fu introdotto dopo la Prima Guerra Mondiale, ma
sostenuto da attivisti Socialisti e Fascisti e in parte introdotto dal governo di Benito
Mussolini nel 1925. Il 1° febbraio 1945 rappresenta una data che ha cambiato per sempre la
storia della donna in Italia.
Il Decreto n. 23 decretava l’ “Estensione alle donne del diritto di voto”. Il Governo presieduto
da Ivanoe Bonomi con il Decreto numero 23 estese il diritto di voto a tutte le donne
maggiorenni. Da questo erano escluse le minori di 21 anni e le prostitute. Ecco perché il 1
febbraio 1945 rappresenta una data epocale nel percorso verso l’emancipazione femminile.
Nell’aprile del 1945, il governo provvisorio decretò l’emancipazione delle donne, che ne
consentiva la nomina immediata a cariche pubbliche: la prima fu Elena Fischli Dreher. Nelle
elezioni del 2 giugno 1946, tutti gli italiani votarono contemporaneamente per l’Assemblea
costituente e per un referendum che chiedeva al popolo di scegliere per l’Italia la Monarchia
o la Repubblica.
Le elezioni non si svolsero nel Venezia-Giulia e nell’Alto Adige perché erano sotto
l’occupazione alleata. Le donne votarono, così per la prima volta, nelle elezioni
amministrative della primavera del 1946. Il principio, contenuto nel decreto legge del 1945 e
firmato dal Luogotenente generale del Regno, Umberto di Savoia (in seguito Re col nome di
Umberto II di Savoia), venne ripreso successivamente dalla Carta costituzionale italiana.
Essa entrò in vigore nel 1948 dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Poco dopo
con il Decreto nr. 74 del 10 marzo del 1946, si stabilì anche l’eleggibilità delle donne in
ambito politico e amministrativo. Così per la prima volta nella storia due donne divennero
sindaco. Ada Natali, a Massa Fermana, nelle Marche e Ninetta Bartoli, a Borutta, in
Sardegna. Il 1946 viene ricordato non solo per il suffragio femminile ma per la nuova
Costituzione. La legge necessaria a regolare l'istituto del referendum venne approvata solo
nel 1970, in occasione della legge sul divorzio. Nel 1975 venne promulgata la legge di riforma
del diritto di famiglia e nel 1990 quella sullo sciopero. Fino all'approvazione di una legge del
1984, la Corte costituzionale fu più volte chiamata a regolare i rapporti tra Stato e Chiesa che
erano ancora basati sui dettami dei patti lateranensi. Con l’affermazione della Costituzione
venivano firmate le prime leggi e in particolare quelle che riguardavano il fascismo. La XII
disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana vieta la riorganizzazione del
partito fascista: “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito
fascista”. (1° gennaio del 1948). La Legge Scelba (20 giugno 1952) stabilisce inoltre
all’articolo 1: “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione o
un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando,
minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politico o propugnando la
soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue
istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua
attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o
compie manifestazioni esteriori di carattere fascista” sarebbe stato punito con il carcere:
“Chiunque promuove ed organizza sotto qualsiasi forma la ricostituzione del disciolto partito
fascista a norma dell’articolo precedente è punito con la reclusione da tre a dieci anni”(Legge
Scelba art.2).
Apologia del fascismo: “Chiunque, fuori del caso preveduto dall’art. 1, pubblicamente esalta
esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo oppure le finalità’ antidemocratiche proprie
del partito fascista e’ punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire
500.000. La pena è aumentata se il fatto e’ commesso col mezzo della stampa o con altro
mezzo di diffusione o di propaganda”. (Legge Scelba art.4)
Legge Mancino (25 giugno 1993)
Ribadisce e rafforza: “E’ vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo
avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali,
etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o
gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o
dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o
dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con
la reclusione da uno a sei anni”. In particolar modo si pone l’attenzione anche al Saluto
Romano ritenuto ormai illegale.
Il saluto romano, così detto perché in passato fu ritenuto derivare da una tradizione
dell'antica Roma, è una forma di saluto utilizzata in varie parti del mondo nel periodo a
cavallo tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, che prevede il braccio destro
alzato di circa 135 gradi rispetto all'asse verticale del corpo con la palma della mano rivolta
verso il basso e le dita unite. Il saluto romano è noto per essere stato utilizzato dal regime
fascista italiano e dal regime nazista tedesco nella prima metà del Novecento. Questo tipo di
saluto non è da intendere come la salutatio militaris, ovvero il saluto militare codificato
nell'antica Roma, che invece sembra essere del tutto analogo al saluto militare moderno,
ritenuto erroneamente un'invenzione medioevale. Il saluto romano d'età contemporanea
venne usato per la prima volta in Italia dai legionari fiumani di Gabriele D'Annunzio,
consistendo nel presentare il pugnale sguainato. Esso si salda con la tradizione classica per la
volontà fascista di rappresentare una continuità con Roma antica. Nell'Italia fascista Achille
Starace, segretario del PNF, promosse una campagna a favore del saluto romano, affinché
sostituisse completamente la stretta di mano ritenuta "borghese" e poco igienica. Mussolini
rimase così folgorato da questo tipo di saluto da farlo diventare uno dei simboli più
importanti del partito fascista e che, senza vere basi storiche, si è poi diffuso nell’arte, nel
teatro e nella politica. Ad oggi diciamo stop al saluto romano che rimanda all’ideologia
fascista. Il gesto, che evoca valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza è reato,
anche se non é accompagnato da alcuna violenza: perché la legge è finalizzata ad una tutela
preventiva, tipica dei reati di pericolo.
I diritti dell’uomo hanno fatto irruzione nello scenario delle relazioni internazionali con la
forza prorompente di un fenomeno etico e politico capace di mobilitazione diffusa ed hanno
introdotto grandi novità di sostanza e di metodo di cui i governi, le diplomazie ed i
parlamenti devono tener conto. È anche il caso della Guerra Fredda ('cold war'), espressione
con cui si indica la contrapposizione politica, ideologica e militare che venne a crearsi
intorno al 1947, tra le due potenze principali emerse vincitrici dalla Seconda guerra
mondiale: gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. La lunga e spesso tragica campagna dei
dissidenti in Unione Sovietica è stata animata da una forte rivendicazione dei diritti civili e
politici in un sistema totalitario; persino i sommovimenti del Sessantotto europeo ed
americano ne hanno contenuto una componente, modulata peraltro nella contestazione di
sistemi democratici. Si trattò sostanzialmente della contrapposizione tra due grandi
ideologie politico-economiche: la democrazia-capitalista da una parte e il socialismo
reale-comunismo dall'altro. Un ruolo fondamentale fu svolto dal famoso Muro di Berlino, in
Germania, che doveva impedire la fluidità della frontiera tra Germania est, a controllo
sovietico, e Germania ovest, a influenza americana. Il muro creava una barriera
tendenzialmente invalicabile, al centro di controversie fin dalla fine degli anni '60. Per
evitare le diserzioni fu imposto l'impiego costante di due o tre militari per ogni postazione; in
questo modo, nell'eventualità di un tentativo di fuga di una guardia, i compagni di pattuglia
avevano la consegna di sparare al fuggitivo. Anche lo svolgimento ordinario delle funzioni di
controllo era sottoposto a minacce e intimidazioni da parte della polizia politica della DDR:
nel caso in cui un cecchino avesse mancato un obiettivo, avrebbe subito pesanti ritorsioni che
potevano estendersi anche ai familiari. Molte e frequenti erano le delazioni anche da parte di
civili (i grenzhelfer), che venivano arruolati in ausilio alle truppe di frontiera in gruppi locali
che potevano effettuare arresti di cittadini che tentavano la fuga. Furono oltre 8.000 i
tentativi di fuga oltre il muro tra il 1961 e il 1989. Le vittime della Polizia di frontiera della
DDR furono quasi un migliaio lungo tutte le zone di ondine compreso il Mar Baltico. La
costruzione del Muro di Berlino divenne il simbolo di un’epoca molto buia e drammatica di
divisione e contrapposizione segnata dalla Guerra Fredda e da molte altre spaventose guerre,
da una terrificante corsa al riarmo e da vastissime violazioni dei diritti umani ed il suo
abbattimento fu reso possibile anche dall’impegno lungo e faticoso di tante persone e
movimenti che, per lungo tempo, hanno avuto il coraggio di lottare per la libertà, la pace e il
rispetto dei diritti umani. In quest'arco di tempo accadde quello che l’economista Albert
Hirschman chiamò autosovversione: l’implosione di un regime, che non ferma il
cambiamento ma lo accetta riconoscendo di non avere più nessuna autorità, di fronte alla
protesta generalizzata. Il crollo del muro non portò a scontri violenti, e cambiò
completamente l’assetto dell’Europa. Qualcuno, come il politologo Francis Fukuyama, arrivò
a parlare di “fine della storia”, prevedendo un'epoca senza conflitti, senza contraddizioni,
dominata da una lenta e banale crescita economica; è una delle immagini più illusorie e
sbagliate di quello che sarà il futuro, perché nonostante i profondi cambiamenti seguiti a
quell’accadimento epocale, altri 62 muri e barriere sono stati eretti nel mondo dividendo
popoli e nazioni e altri sono ancora in costruzione anche in Europa. Insieme ai muri di
cemento armato e di filo spinato, si andarono innalzando tanti altri muri invisibili: i muri
della miseria e delle disuguaglianze, della violenza e dell’esclusione sociale, dell’antagonismo
infinito e della competizione selvaggia, della paura e dell’indifferenza, del pregiudizio,
dell’intolleranza e dell’odio.
Quando sparirono i confini, dopo il 1989, si arrivò ad una vera e propria colonizzazione della
finanza occidentale e delle aziende dell’est. Gli apparati burocratici che gestivano le
economie pianificate diventarono una nuova classe dirigente, a volte intrallazzata con la
finanza occidentale e pronta a sfruttare i cambiamenti senza più nessun controllo. Sorse
all’improvviso, senza fasi preparatorie, una società basata sull'individualismo e sulla
concorrenza. Sviluppo e sottosviluppo coesistono ancora oggi in quello che è il Paese più
ricco d’Europa, dove nell’89 un mondo è stato cancellato senza una fase di transizione. In
Germania assistiamo ad una modernizzazione estrema delle aree più sfruttabili
turisticamente, con scarsi benefici per i residenti, mentre larghe aree rimangono depresse,
con sacche di arretratezza e povertà, dove si parla più il russo che l’inglese e dove lo spirito di
competizione degli abitanti è molto più basso rispetto ai cittadini dell'ovest.
Uno dei risultati di questa integrazione avvenuta male è il preoccupante incremento di partiti
di estrema destra, talvolta con evidenti simpatie neonaziste. A distanza di decenni da questi
fatti, la spinta all’affermazione dei diritti umani radicata nelle minoranze scompare presto
perché sembra più importante adeguarsi allo stato di diritto occidentale. Ci sono stati dei
passi avanti sicuramente con l’introduzione formale di leggi ben fatte, ma che non sono state
sufficienti; per esempio, le leggi che riguardano i Rom in Romania sono molto avanzate ma
solo in minima parte consentono di difenderne i diritti. Al di là dei casi specifici però,
l’adesione formale alle leggi fa perdere la spinta a combattere per i diritti, contro
l’autoritarismo: forse è anche vero che queste battaglie avrebbero bisogno, oggi, di un nuovo
salto di qualità. Attualmente, nel mondo globalizzato, siamo davanti ad un conflitto tra due
diritti fondamentali, lavoro e salute, e siamo chiamati a scegliere uno dei due: non esiste un
meccanismo capace di salvare entrambi.
Un personaggio che nella storia si è fortemente battuto per i diritti degli emarginati, degli
oppressi, degli ultimi, fu un'altra grande donna, che senza manifestazioni e senza proteste,
chiedeva, attraverso il suo operato, il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo (tra i quali
vivere e morire in maniera dignitosa), ovvero Madre Teresa di Calcutta. Il suo pensiero, la
sua vocazione, il suo modello di vita, la sua profonda spiritualità, si caratterizzano per la
difesa dei Diritti Umani e per la passione e l’amore per gli altri, specialmente quando gli altri
sono i più deboli, i più disagiati, i più emarginati, i poveri. Il suo credo fu sicuramente
dedicarsi agli altri ed essere a servizio degli altri, con umiltà e mitezza perché, “senza la
mitezza non potremo essere mai capaci di accettare gli altri, nè amarli come Lui ama noi (…).
Abbiamo bisogno di mitezza e di umiltà per poter mangiare il Pane della Vita. Abbiamo
bisogno di mitezza e di umiltà se vogliamo nutrirLo all'affamato”.
Ha sempre difeso il rispetto per la dignità umana che va riconosciuta e rispettata sin dal
momento del concepimento. Madre Teresa dava importanza alla carità spirituale, ma
essenziale, a Suo avviso, era anche la carità corporale. Un uomo che non sa di che nutrirsi,
povero al punto di non avere niente per sostenere il suo corpo, e quindi per sostenere la sua
esistenza, è un uomo brutalmente privato dell’avvenire, è un uomo già privato della vita
stessa. Ecco perché i valori economici devono essere considerati nella misura in cui
consentono di condurre una vita dignitosa e non devono essere esclusivi o superiori agli altri.
L’11 dicembre di 36 anni fa, ad Oslo, viene consegnato a Madre Teresa di Calcutta il premio
Nobel per la Pace; i motivi dell’assegnazione del premio alla fondatrice della Missionarie
della
Carità risiedono nel suo impegno tra i poveri e nel suo rispetto per il valore e la dignità di
ogni singola persona e “per il lavoro compiuto nella lotta per vincere la povertà e la miseria,
che costituiscono anche una minaccia per la pace”
Coloro che però ebbero, e tuttora hanno, problemi per il rispetto dei diritti sono i membri
della popolazione afroamericana, che per il colore della loro pelle, più volte furono, e sono,
vittime di episodi di razzismo. Si ricordi, ad esempio, il caso di George Stinney Jr., il più
giovane condannato a morte negli Stati Uniti. Aveva appena quattordici anni quando è stato
giustiziato il 16 giugno del 1944 per un duplice omicidio che non aveva commesso. Era stato
accusato di aver ucciso due ragazze bianche, i cui corpi sono stati trovati vicino alla sua
abitazione, quell'unica prova, essere nero vicino a due cadaveri, è bastata per fare entrare
quel bambino dentro un incubo. Dopo un processo di due ore, una giuria tutta bianca ha
impiegato solo 10 minuti per condannarlo. Settant’anni dopo un giudice in South Carolina ha
dimostrato la sua innocenza mostrando che Stinney non avrebbe potuto usare la presunta
arma del delitto per uccidere le ragazze. George era innocente. Il ragazzo è stato giustiziato
sulla sedia elettrica con una scarica da 5300 VOLT, non riuscendo a smettere di piangere
neanche un secondo prima dell'esecuzione: il boia attiva ben tre volte il meccanismo, e dopo
4 minuti di agonia George esala l’ultimo respiro. Questo è un esempio eclatante di come gli
uomini sappiano essere crudeli nei confronti dei propri simili calpestandone i diritti.
Importante a tal proposito è la figura del pastore protestante Martin Luther King,
unanimemente riconosciuto "apostolo instancabile della resistenza non violenta", "eroe e
paladino dei reietti e degli emarginati", "redentore dalla faccia negra", che si è sempre
esposto in prima linea affinché fosse abbattuto nella realtà americana degli anni cinquanta e
sessanta ogni sorta di pregiudizio etnico. Ha predicato l'ottimismo creativo dell'amore e della
resistenza non violenta, come la più sicura alternativa sia alla rassegnazione passiva sia alla
reazione violenta preferita da altri gruppi di colore. Estremamente celebre è rimasto il
discorso che Martin Luther King tenne il 28 agosto 1963 durante la marcia per il lavoro e la
libertà davanti al Lincoln Memorial di Washington e nel quale pronunciò più volte la fatidica
frase I have a dream ("Io ho un sogno") che sottintendeva l’attesa che egli coltivava, assieme
a molte altre persone, perché ogni uomo venisse riconosciuto uguale a ogni altro, con gli
stessi diritti e le stesse prerogative, proprio negli anni in cui i tempi stavano cambiando.
Anche per questo, Martin, molte volte fu soggetto ad aggressioni e a offese molto gravi, ma
non per questo si arrese, continuando a professare ciò in cui credeva e sperava.
Un ultimo esempio riguardante la forza dei diritti umani e le sue oppressioni, che verrà
trattato in questo storytelling, sono i movimenti pacifisti sviluppatasi dopo la guerra del
Vietnam. La guerra del Vietnam ha rappresentato indubbiamente una delle pagine più
oscure della storia statunitense. Terminata la Seconda Guerra mondiale, gli Stati vincitori si
adoperarono per costituire una disciplina dei diritti umani che perseguisse l’obiettivo di non
far più rivivere all’umanità la terribile esperienza dell’Olocausto. Non solo: sul piano
geopolitico si delineò una polarizzazione del mondo canalizzata verso due superpotenze,
Stati Uniti e Unione Sovietica, che da quel momento in poi avrebbero dominato il panorama
internazionale fino alla fine degli anni ’80.
La guerra in Vietnam scoppiò perché fino alla Seconda Guerra Mondiale, dell’impero
coloniale francese, ma con la decolonizzazione, prese piede un sentito movimento
indipendentista, che diede luogo dal 1945 al 1954 a quella ad oggi conosciuta come la guerra
d’Indocina, combattuta da un lato dall’esercito francese appoggiato dagli Stati Uniti (che
aiutavano il vietnam del Sud) e dall’altro dai militanti del movimento Vietminh, legato alle
potenze comuniste cinese e sovietica e guidato da Ho Chi Minh (appoggiavano il vietnam del
Nord). Ciò che accadde in Vietnam fu un vero e proprio Olocausto: dall’Offensiva del Tet alla
ben più famosa strage di MyLai, l’obiettivo americano non fu mai quello di appoggiare il
Vietnam del Sud nel contrastare il Vietnam del Nord (filosovietico), ma quello di portare
l’intero territorio sotto il controllo del blocco Occidentale. A qualsiasi costo, uno degli
elementi decisivi per le sorti del conflitto si rivelò essere proprio la diffusione della
televisione nelle case degli americani, benché nei primi anni quello stesso mezzo di
comunicazione riuscì a creare un contesto sociale favorevole al governo. L’anno in cui si
ruppe la sinergia tra opinione pubblica ed establishment governativa fu il 1968. Ai giornalisti
venne concessa una grande libertà di movimento nel campo di battaglia e grazie a ciò
iniziarono a diffondersi numerose testimonianze sul reale andamento della guerra. I giovani
americani scesero in piazza, il ’68 fu rivoluzionario, all’insegna del pacifismo e della
rivendicazione dei diritti umani.
I MOVIMENTI PACIFISTI
L'opposizione alla guerra del Vietnam fu un movimento sociale contro la partecipazione degli
Stati Uniti nella guerra del Vietnam, iniziata con manifestazioni nel 1964 e crebbe negli anni
successivi. Le persone della società americana si divisero tra coloro che sostenevano il
coinvolgimento nella guerra, e quelli che volevano la pace.
Molte persone nel movimento per la pace, erano studenti, madri, o hippy, ma c'era anche il
coinvolgimento di molti altri gruppi, tra cui educatori, sacerdoti, docenti universitari,
giornalisti, avvocati, medici, militari veterani e americani comuni. Le espressioni
dell'opposizione andavano da manifestazioni pacifiche nonviolente a radicali manifestazioni
violente. La guerra del Vietnam ha rappresentato uno spartiacque decisivo che diede la
misura dello strappo generazionale avvenuto nella società degli anni Sessanta. Nel corso del
biennio 1967 e 1968, infatti, Il Vietnam può essere considerato il vero catalizzatore della
rivolta giovanile occidentale: la tenace resistenza del popolo vietnamita al colosso militare
americano aveva dimostrato che l’organizzazione politica poteva sconfiggere la potenza
tecnologica.
In Italia come in tutto il mondo si susseguirono moltissime manifestazioni, assemblee
studentesche, fiaccolate, raduni nelle fabbriche, veglie di protesta davanti ai consolati USA,
roghi di bandiere americane al grido di “Yankee go home” per protestare contro questa
guerra. Mentre Noam Chomsky nella rivista “New York Review of Books” scriveva: «occorre
prendere misure illegali per opporsi ad un governo indecente». Anche il premio Nobel per la
pace Martin Luther King, nell’aprile di quello stesso anno a New York, si schierò
apertamente contro la guerra definendola «il vero nemico dei poveri». Nella Dichiarazione di
Indipendenza dalla guerra del Vietnam egli diceva polemicamente che in quel conflitto vi era
il paradosso di un’intera nazione: gli Stati Uniti dicevano di essere impegnati in una guerra
per la libertà del popolo vietnamita quando i neri d’America, ad Harlem così come in
Georgia, non godevano di nessun diritto. Negli USA, in particolare, la protesta stava
assumendo proporzioni di giorno in giorno più eclatanti: secondo «Mondo Beat» ben 40
mila giovani americani nel ’67 si erano rifugiati in Canada per sottrarsi alla condanna a 5
anni conseguenza del rifiuto a combattere nel Vietnam. Si stava verificando, una
«rivoluzione delle coscienze» che portava le giovani generazioni a condannare qualsiasi tipo
di guerra, «con l’implicito rifiuto della giustificazione di giusta o santa, perché la guerra è
sempre ingiusta e non è mai santa».
‹I care›: è il motto irriducibile dei giovani americani migliori. ‹Me ne importa, mi sta a
cuore›. È il contrario esatto del motto fascista ‹Me ne frego› […].
L’obbedienza non è più una virtù. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi son tutti
sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni,
che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna
che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto. Una rivolta pacifista che si è distinta
nella storia fu portata avanti dagli Chicago seven. Gli Chicago Seven sono stati un gruppo di
attivisti (Abbie Hoffman, Jerry Rubin, David Dellinger, Tom Hayden, Rennie Davis, John
Froines e Lee Weiner) accusati dal governo federale degli Stati Uniti di associazione a
delinquere, istigazione alla sommossa e altri reati relativi agli scontri tra manifestanti e
polizia avvenuti a Chicago durante la Convention del Partito Democratico del 1968. Il gruppo
è anche noto come Chicago Eight, visto che per un breve periodo un ottavo uomo, il leader
dell'organizzazione rivoluzionaria nota con il nome delle Pantere Nere, Bobby Seale, fu
accusato e mandato a processo insieme agli altri. Il processo ai Chicago Seven, durato dal
settembre 1969 al febbraio 1970, si trovò al centro di un acceso dibattito nazionale a causa
della sua presunta natura di processo farsa motivato dal fatto che gli imputati ricoprissero
ruoli di spicco all'interno del movimento controculturale e di opposizione alla guerra del
Vietnam più che da una loro reale colpevolezza o complicità. Al termine del processo, cinque
imputati vennero riconosciuti colpevoli di istigazione alla sommossa, mentre vennero tutti
assolti dall'accusa di associazione a delinquere; inoltre, il giudice condannò tutti gli imputati
e il loro avvocato William Kunstler a pene severe per oltraggio alla corte. Tuttavia, tali accuse
furono successivamente revocate e, nel 1972, la corte d'appello prosciolse gli imputati da
tutte le accuse.
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Pantere Nere è un Movimento rivoluzionario afroamericano, fondato nell’ottobre 1966 ad
Oakland, California, da Huey Percy Newton e B. Seale. Interpreti della ribellione degli
Afroamericani e influenzati dal marxismo e dalla predicazione di intellettuali come Malcolm
X, i militanti non rifuggirono dall’uso di mezzi violenti, ai quali però rinunciarono verso la
metà degli anni 1970 Alla fine degli anni sessanta del XX secolo, l'organizzazione divenne
famosa nella scena politica nazionale statunitense ottenendo anche una notevole
considerazione all'estero, fino a quando, a causa di divisioni interne e repressione da parte
del governo, cominciò la sua parabola discendente.
Nel 1989 è nato a Dallas, in Texas, il New Black Panther Party, ma come hanno tenuto più
volte a ribadire ex membri delle Pantere Nere, il nuovo partito sarebbe illegittimo e "non è il
nuovo partito delle Pantere Nere". Il simbolo, la pantera nera, deriva dalla preesistente
"Organizzazione per la libertà della contea di Lowndes", in seno alla quale i membri del
futuro Black Panther Party iniziarono a organizzarsi politicamente. L'obiettivo dei due
fondatori era di sviluppare ulteriormente il movimento di liberazione degli afroamericani
fino ad allora pesantemente discriminati, socialmente, politicamente e legislativamente. La
peculiarità delle Pantere fu quella di rifiutare le istanze nonviolente e integrazioniste di King,
a loro avviso inefficaci e addirittura motivate da una nascosta collusione con le strutture di
potere dei bianchi. Al principio della nonviolenza le Pantere sostituirono quello
dell'autodifesa (self-defence) come strumento di lotta fondamentale. In particolare,
cominciarono a praticare il "Patrolling". Questo consisteva nel pattugliare, tenendo sempre le
armi in bella vista, le azioni della polizia, in modo da condizionarne l'operato, impedendo che
questa abusasse del suo potere contro le persone di colore che fermava. In risposta al
fenomeno delle ronde armate, nel maggio del 1967, l’allora governatore della California
Ronald Reagan firmò una legge, il Mulford Act, che limitava il porto d’armi in pubblico di
privati cittadini. Quella legge rappresentò l’occasione che molti attivisti aspettavano per il
lancio dell’organizzazione a livello nazionale: ripresi da telecamere e fotografi, una ventina di
Pantere entrarono, armi in pugno, nell’assemblea legislativa di Sacramento, capitale dello
stato, per protestare contro la decisione del governo. Il successo mediatico fu immediato:
tutti i giornali del paese iniziarono a parlare di questo gruppo di afro-americani della
California che si vestiva di nero, si professava marxista leninista, parlava di rivoluzione e si
ispirava a Malcolm X. Poco dopo, nel settembre del 1967, Newton venne arrestato con
l’accusa di aver ucciso un poliziotto. https://www.youtube.com/watch?v=Rb4wpPC4K2s
L’arresto della mente delle Pantere, che avrebbe potuto compromettere la vita stessa del
gruppo, ebbe invece l’effetto di creare un movimento interrazziale per la sua liberazione (al
quale parteciparono numerosi intellettuali e attori, tra cui Marlon Brando) che amplificò
ancora di più il messaggio del Black panther party. Molte sedi nacquero in tutti i ghetti delle
grandi città e a ronde e manifestazioni andarono sempre di più affiancandosi programmi di
assistenza sociale – dalla distribuzione di pasti caldi ai bambini, all’assistenza sanitaria
gratuita – che furono il vero canale di dialogo con le comunità nere. Programmi, tra l’altro,
gestiti quasi interamente da donne, il Black panther party non aveva sovvertito il sistema,
non aveva ribaltato il capitalismo e neppure aveva sconfitto la white supremacy, ma fu
capace di infondere in una generazione di giovani neri un senso di orgoglio razziale come
poche organizzazioni erano riuscite a fare prima e a contribuire a una stagione di impegno
politico militante afro-americano che avrebbe caratterizzato i decenni successivi.il nuovo
movimento moderno del Black lives matter che si batte per i diritti dei neri ha infatti molte
radici nel black panther party . Le Pantere Nere erano ampiamente conosciute per
l'immagine dei loro membri afroamericani, indossavano giacche di pelle e portavano armi in
pubblico. Quell'immagine dell'uomo di colore armato ha suscitato terrore nella comunità
bianca e nell'establishment politico del paese. Sebbene le pantere nere non siano mai state
responsabili di alcun atto di violenza di massa, i loro membri sono stati considerati
"terroristi" dallo stato, in particolare dalle forze di polizia. Le pantere nere hanno lottato per
l'emancipazione dalla classe lavoratrice e l'uguaglianza economica, sociale e politica "reale"
indipendentemente dal genere o dal colore. L'uso delle armi come parte integrante della loro
immagine non era volta a minacciare gli altri o promuovere la violenza contro lo Stato, ma
piuttosto un simbolo dei suoi oppressori che stavano cooptando come meccanismo di difesa
e potere politico.
Tuttavia, quell'immagine di afroamericani armati distrasse dalle idee rivoluzionarie e
altamente progressiste della loro piattaforma politica. Idee e iniziative che in seguito hanno
trasformato la vita di milioni di persone nel paese in modo molto positivo. Ad esempio, sono
state le Pantere Nere che hanno avviato il programma di colazione gratuita per i bambini
della comunità, per aiutare i più bisognosi.
Successivamente, tale concetto è stato incorporato a livello nazionale nelle scuole pubbliche e
nei centri comunitari, che fino ad oggi hanno offerto la colazione gratuita a tutti gli studenti
che ne hanno bisogno. Le pantere nere hanno anche promosso il concetto di polizia
comunale: un corpo integrato nella comunità, che lo conosce perché è una sua derivazione.
L'idea era di trasformare un settore della polizia tradizionale in servitori di protezione per la
comunità, invece di essere nemici della comunità, che presumibilmente stavano
proteggendo. Questo concetto è stato rivitalizzato oggi dal movimento Black Lives Matters,
che chiede di riformare e rifinanziare la polizia per smettere di attaccare e perseguitare le
comunità che dovrebbero proteggere.
Un altro concetto fondamentale delle Black Panthers presenti oggi a Black Lives Matter è la
loro richiesta di fermare immediatamente la brutalità della polizia e l'omicidio degli
afro-americani. Questa è stata la scintilla che ha dato alle fiamme le recenti marce ed è
diventato un punto di discussione principale per molti leader e rappresentanti politici a
livello nazionale. Perfino repubblicani e democratici concordano con l'idea di riformare le
forze dell'ordine per porre fine alla vecchia cultura della brutalità contro gli afro-americani e
all'impunità di cui godono gli autori.cronache che hanno scosso e continuano a scuotere gli
animi di rivolta sono vicende come la simbolo della rinascita del movimento, ovvero
l’assasinio di George Floyd. Si scopre che George Floyd non era armato, non era violento,
non era nemmeno accusato o sospettato di un crimine. Lo stavano cercando
presumibilmente usando una banconota da venti dollari falsa in un negozio. Quindi è stato
assassinato, e crudelmente e brutalmente. Il suo unico crimine era il colore della sua pelle.
Il video di quel poliziotto bianco, Derek Chauvin, che uccide impunemente Floyd, pur
sapendo che è stato filmato da un giovane testimone, è emblematico del razzismo reale e
sistemico che continua ad essere presente in ogni aspetto della società americana. La stessa
Costituzione americana che ha dichiarato che gli africani erano solo i tre quinti di un essere
umano rimane stampata.
Naturalmente, gli emendamenti 13, 14 e 15, che hanno abolito la schiavitù, riconosciuto
l'uguaglianza e la cittadinanza di ogni persona nata negli Stati Uniti e garantito il voto per gli
afro-americani, hanno cercato di porre rimedio al razzismo profondamente inquadrato nella
Magna Carta.Tuttavia, persistono discriminazioni e disumanizzazione della comunità
afroamericana e quei diritti .Sono passati molti decenni da quel 28 Agosto del 1963 giorno in
cui Martin Luther King pronunciò il discorso I have a dream. https://youtu.be/vP4iY1TtS3s
E poco è cambiato negli USA e nel mondo. Il “sogno” di molti americani che vivono nel paese
che si professa “paladino dei diritti umani” si è rivelato un incubo. Forse solo una cosa è
davvero cambiata: oggi non c’è più un leader come Martin Luther King in grado di trascinare
le folle e di lasciare un segno nella storia. concessi negli emendamenti costituzionali non
sono ancora rispettati in molte parti del paese.
Tenendo in considerazione anche solo gli ultimi anni, sono molti i casi di giovani ragazzi di
origine africana uccisi, in modo più o meno accidentale, dalla polizia. L’ultimo in termini di
tempo è quello di Adil (il suo cognome non è stato reso noto), diciannovenne di origini
marocchine, travolto da un’auto della polizia dopo aver tentato di sfuggire a un controllo di
routine durante il lockdown, ad Anderlecht. In seguito all’incidente mortale è stata aperta
un’inchiesta per omicidio colposo. Sempre in Belgio, nell’agosto del 2019, un diciassettenne
di origini marocchine, Mehdi Bouda, venne investito da una volante dopo essere fuggito da
un posto di blocco. Nel 2015, Mitch Henriquez, un turista proveniente da Aruba, durante una
rissa nata a un concerto a L’Aia, Paesi Bassi, venne immobilizzato a terra da un poliziotto.
Henriquez perse i sensi e morì qualche giorno dopo in ospedale. L’autopsia dichiarò la morte
per asfissia. Dei cinque poliziotti coinvolti nell’arresto, due vennero inizialmente condannati:
uno fu scagionato in appello e l’altro venne sospeso dal servizio per sei mesi.
La morte di Adama Traoré ha, invece, provocato un’ondata di manifestazioni e indignazione
in Francia, nel 2016. Adama morì mentre era sotto custodia della polizia, dopo aver tentato
di sfuggire a un controllo d’identità. Dopo che la polizia aveva informato la famiglia della
morte avvenuta per arresto cardiaco e dopo aver cercato di far rimpatriare frettolosamente la
salma del giovane in Mali, la famiglia Traoré riuscì a ottenere il permesso per una seconda
autopsia che constatò la morte avvenuta per asfissia. Dopo quattro anni di indagini, i
responsabili ancora non sono stati condannati.
Se, invece, si prendono in considerazione tutti quei casi in cui la polizia, senza ragioni
oggettive, svolge attività di controllo, sorveglianza o investigazione in base all’aspetto di una
persona o per il luogo in cui questa vive, il problema diventa ancor più importante. Si parla
di racial profiling quando le forze dell’ordine usano le categorie della razza, la religione,
l’etnia o la nazionalità di origine per valutare chi potrebbe essere coinvolto in attività
criminali (e non quelle che dovrebbero essere usate, come sospetti ragionevoli, evidenze
oggettive o comportamenti individuali).
Diversi studi condotti negli ultimi dieci anni dimostrano che il fenomeno del racial profiling
è particolarmente radicato nel modus operandi delle forze dell’ordine europee. La Brutalità
poliziesca è un'espressione utilizzata per indicare una serie di comportamenti connotati da
violenza, repressione, abuso di potere, corruzione, abusi sessuali, uso eccessivo della forza,
profilo razziale, intimidazione ,purtroppo il codice penale non prevede un vero e proprio
reato di abuso d’autorità. L’abuso di autorità è piuttosto una circostanza determinante
affinché, al ricorrere di altre condizioni, possa scattare un determinato reato.
Di recente Le Monde, Mediapart e il Guardian hanno diffuso in contemporanea una storia
agghiacciante: Valentin Gendrot, un giornalista francese di 32 anni, è riuscito a infiltrarsi
nella polizia parigina per quasi due anni, e la sua inchiesta ha rivelato un mondo di abusi,
violenza e razzismo, nel libro il giornalista racconta a violenza è già all’ordine del giorno.
Davanti ai suoi occhi, un uomo in stato di fermo chiede di andare al bagno. Una volta, due.
La terza volta, lo chiede a voce più alta, è urgente. Un poliziotto arriva, lo fa uscire e lo
riempie di botte. Mezz’ora più tardi, una donna di 70 anni vuole sporgere denuncia:
“Buongiorno, mio marito ha minacciato di uccidermi”. E il poliziotto risponde: “Se succede
di nuovo, torni da noi”. Tre settimane dopo, durante un semplice sopralluogo per schiamazzi,
il giornalista assiste al pestaggio di un ragazzino di 16 anni da parte di un altro poliziotto:
“L’agente sferra il primo colpo, l’adolescente non reagisce, ma l’agente continua a riempirlo
di pugni, lo insulta, lo sbatte in cella e lo colpisce ancora”. Qualche giorno dopo, Gendrot si
ritrova a coprire il collega che accusa il ragazzo di oltraggio e minaccia a un pubblico
ufficiale. In un’altra manciata di occasioni, il giornalista sarà anche testimone di violenze ai
danni di migranti che, rinchiusi nel furgone della polizia, vengono picchiati e poi rilasciati a
vari chilometri dal punto di partenza. Nella polizia, afferma Gendrot, “non è permesso fare di
tutto, ma in certi momenti, con certi poliziotti, tutto diventa permesso”.
Ma nemmeno L'ITALIA è un Paese accogliente. In 18 anni ci sono stati 7.426 episodi di
ordinario razzismo. E' questo quanto emerge sul libro bianco dell'associazione Lunaria che
raccoglie le segnalazioni dal 1° gennaio 2008 e il 31 marzo 2020. Si tratta di 5.340 casi di
violenze verbali, 901 aggressioni fisiche contro la persona, 177 danneggiamenti alla
proprietà, 1.008 casi di discriminazione. L’Indipendent, quotidiano inglese, pubblica
un’anticipazione dei rilievi degli osservatori Onu inviati in Italia che sottolineano come un
aumento degli attacchi di odio in Italia non può essere separato dai politici "che abbracciano
spudoratamente la retorica razzista e xenofoba anti-migrante e anti-straniera” .I relatori
speciali delle Nazioni Unite condannano anche le "campagne diffamatorie" contro i gruppi
che salvano i migranti nel Mediterraneo e criminalizzano il lavoro di coloro che difendono i
diritti dei migranti. I relatori hanno anche attaccato le norme in discussione al Parlamento
per limitare le norme sull'immigrazione in Italia, che secondo loro "avrebbero sicuramente
portato a violazioni della legge internazionale sui diritti umani".
Il decreto legge sull'immigrazione e la sicurezza, promosso dal ministro degli interni Matteo
Salvini, include misure che abolirebbero lo status di protezione umanitaria per i migranti e
impedire ai richiedenti asilo di accedere ai centri di accoglienza destinati a combattere
l'esclusione sociale, ha detto l'Onu. Le restrizioni si aggiungono a un numero di politiche
istituite dal governo rivolte agli stranieri e alle minoranze etniche. Le politiche includono
misure penalizzanti i politici locali pro-immigrazione, allontanando le navi rifugiate e viene
previsto un "censimento" della popolazione di viaggiatori rom italiani. Il razzismo si
manifesta purtrpoppo in ogni parte del mondo, come un fatto storico, l’abbiamo visto nei
totalitarismi, nell’odio verso una razza, un colore della pelle , una religione, persino nell’odio
per chi ama persone dello stesso sesso, l’ossimoro più grande del mondo è l’omofobia, perché
si odia chi invece ama, seppur chiamati con nomi diversi, il razzismo,l’omofobia, xenofobia,
transfobia, sono tutte matrici di un nucleo fondamentale che è l’ignoranza. Questo è ancora
più grave quando a diffondere odio sono gli stesi politici, il cui compito , lavoro per il quale
tanto sono pagati è rappresentare ogni signolo cittadino, nell’interesse della sua persona e
dei suoi diritti, ecco perché i diritti sono così importanti, per poterci esprimere liberamente e
creare una società che si basi sull’uguaglianza e sulle pari opportunità,ma per crearla ci sarà
ancora molta strada da fare e molte altre manifestazione e marce, bisognerà accumulare
molte altre pallottole e manganelli, perdere la voce mentre si urla parole di eguaglianza,
dovranno nascere altri movimenti e associazioni affinchè veramente non accadano più
strermini dei diritti. Per ora però un grande passo sarebbe approvare il ddlZan, una legge che
nel piccolo potrebbe aiutare la vita di molte persone.
https://www.repubblica.it/politica/2015/06/25/news/salvini_no_al_reato_di_tortura_-117
679348/.
https://www.judicium.it/legge-n-7721019-conversione-del-cd-decreto-legge-salvini-n-53201
9-anche-gli-interventi-materia-ordine-sicurezza-pubblica-soggetti-limiti/.
NON E’ NORMALE CHE SIA NORMALE TUTTO CIÒ!
Marika Cangiano |