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Il calciatore Borriello attacca Roberto Saviano e Gomorra. PDF Stampa E-mail
Scritto da Luigi Cangiano   
Giovedì 03 Giugno 2010 05:32

A Marco Borriello non è piaciuto il clamore suscitato da Gomorra e lo dice apertamente. E’ un fastidio che molti abitanti del napoletano e del casertano hanno provato nel leggere, sentir parlare, o semplicemente vedere la faccia di Roberto Saviano. Ora per favore non attacchiamo Borriello per queste sue dichiarazioni. Certo lui è solo un calciatore e non avrà neppure lontanamente la perspicacia e l'intelligenza di Roberto Saviano ma ha detto delle sacrosante verità su quanto ha dichiarato all'intervista in edicola oggi su Gq.

Secondo noi Roberto Saviano ha fatto benissimo a scrivere Gomorra ma ha sbagliato e continua a sbagliare ancora oggi, quando Gomorra è diventato una sorta di detersivo da pubblicizzare in ogni luogo ed in ogni modo. Oramai Gomorra e Saviano sono diventati come il dash "signora cambierebbe il suo Gomorra con due volumi sulla storia della camorra?" e la signora che si tiene strettamente il suo Gomorra perché meglio di Gomorra non c'è nessun altro libro e meglio di Roberto Saviano non può esserci nessun altro scrittore.

Non pensiamo che sia così, ma questo è quanto la tv vuole far passare, e gente che di tv commerciale che se ne intende come il comico Fabio Fazio, vorrebbe ancora di più farci intendere nei prossimi mesi, con la prossima avventura mediatica che si appresta a fare Saviano.

Stiamo attenti! Non è così che si combatte la camorra. Non è santificando Saviano che sconfiggeremo le mafie ma è con l'impegno concreto di tutti e non con l'impegno mediatico di una sola persona seppure appoggiata dall'elite culturale di un paese come l'Italia, che parla e parla di Saviano e dei Casalesi, ma che probabilmente, anzi sicuramente, non saprebbe neppure trovare su una cartina geografica dove si trova Casal di Principe.

Inoltre noi siamo contro alla beatificazione di Saviano anche per altri motivi. Suoi amici, eroi e conoscenti sono stati in passato soci di un importante ecomafioso e di altra gente assai poco raccomandabile. Guarda caso proprio in una importante casa editrice. Abbiamo segnalato ormai da anni questa situazione a Saviano che con tutta la sua saggezza non si è mai degnato di darci una risposta in proposito.

 
A Vienna è stata aperta la pizzeria Camorra. Che bell'export che facciamo! PDF Stampa E-mail
Scritto da Luigi Cangiano   
Venerdì 28 Maggio 2010 05:28

Volete sulla vostra tavola la garanzia di un brand esclusivo? Un marchio dal vero gusto mediterraneo? Una parola chiave italianissima che suggerisca quel tocco particolare di fragranza con l'aura stellata dell'autenticità garantita? Il sapore di Napoli, Venezia, Torre di Pisa, Fontana di Trevi, la Fornarina, Al Bano e Romina, mozzarella, malavita e paparazzi?
Siete accontentati! Camorra Cafe-Restaurant-Pizzeria: telefono 01.9820705. Specialità: ogni tipo di pizza e pasta, con servizio a domicilio gratis oltre gli 8 euri. Volete andarci di persona? Johnstrasse 24, a una diecina di minuti dal parco di Schönbrunn, a Vienna. Pubblicità porta a porta, con i depliant infilati nelle cassette delle lettere. Il top del gusto à la carte dovrebbe essere la pizza Camorra speciale, ma che dire della Al Capone? Qui, giù il cappello, garantisce l'uomo, il mito. Camorra Cafe-Restaurant-Pizzeria: finalmente tutto il glorioso italico “esprit de finesse” tradotto in gastronomia. Non siete orgogliosi?
Ovviamente, i luoghi della vera gastronomia italiana a Vienna hanno ben altri nomi. Ristoranti, piccoli o grandi, sempre raffinati nei dettagli, aggiornati nel design, e - cosa che fa piacere - apprezzatissimi dai viennesi, viziati da sempre dal buon gusto...

 

 
CAMORRA: CLAN PRINNO, SEI ARRESTI A NAPOLI PDF Stampa E-mail

Sei persone, ritenute affiliate al clan camorristico dei Prinno, accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso e, a vario titolo, di rapina aggravata e di violazione alla Legge sulle armi, sono state raggiunte da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere dai carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Nel corso dell' operazione in rua Catalana, stradina del quartiere Porto dove il clan ha la propria base logistica, sono stati arrestati Ezio Prinno e la madre, Carmela Stefanoni. Dediti principalmente alle estorsioni in rua Catalana, i Prinno hanno poi esteso il proprio controllo anche nelle zone limitrofe. L' intera famiglia, padri, madri, figli, nipoti, partecipa all'organizzazione criminale.

Per i due arrestati le accuse sono di associazione per delinquere di tipo mafioso, a tre degli indagati viene contestata anche una rapina aggravata ai danni di una banca a poca distanza da Rua Catalana, compiuta con la tecnica del buco. A cinque degli indagati è contestata la detenzione ed il porto illegale di armi da fuoco.

Le indagini dei carabinieri furono avviate nel marzo 2009 e documentano anche accordi dei Prinno con clan contigui. In conseguenza di una scissione Giuseppe Prinno, uno dei destinatari delle ordinanza di custodia, avrebbe stretto accordi con il gruppo criminale dei Ricci, referente del clan Sarno nella zona dei Quartieri Spagnoli. Il fratello, Vincenzo, avrebbe stretto alleanza con il clan Elia, egemone nella zona del Pallonetto di Santa Lucia, con i Mariano dei Quartieri Spagnoli e con il clan Lepre del Cavone.

 
Pizzo sul vincita milionaria del superenalotto PDF Stampa E-mail

Chiedevano il pizzo sulle vincite al Superenalotto. La notizia, che ha dell'incredibile, viene da Avellino, città tra le più tranquille della Campania martoriata dalla criminalità organizzata. Protagonisti della vicenda 5 soggetti ritenuti appartenenti al clan camorristico Cava-Genovese, attivo proprio nel capoluogo irpino. Gli arresti sono scattati oggi dopo due anni di indagini della Dda di Napoli.

 
I servizi segreti chiesero "la pace" al boss Misso? PDF Stampa E-mail

Un collaboratore di giustizia ha svelato che al boss camorrista del rione Sanità Giuseppe Misso fu chiesto di mettere fine alla guerra tra i clan in quanto “c’era la necessità che nella città di Napoli non ci fossero scontri diretti tra le organizzazioni camorristiche o faide eclatanti perché c’erano in corso procedure per opere pubbliche importanti” e “soprattutto le istituzioni non dovevano essere ‘insidate’”.

A rivelare il presunto intervento di apparati dello Stato per realizzare una tregua tra le cosche napoletane è il pentito Michelangelo Mazza, nipote di Misso. L’interrogatorio risale al 10 settembre 2007.

Il collaboratore di giustizia parla di un incontro che si sarebbe svolto alla sua presenza alcuni anni fa in un ristorante di Salerno tra Misso e due persone “la prima di circa 60 anni, portava un vestito, la seconda aveva più o meno 40 anni e portava una maglietta e un jeans”. Mazza racconta che, armato di due pistole, svolgeva il ruolo di guardaspalle dello zio che temeva di finire in una trappola. “La persona più giovane – racconta il pentito intervenne nella conversazione volendo puntualizzare che loro non chiedevano delle cose ma le ordinavano”.

Il presunto incontro non ha una datazione precisa, tuttavia il collaboratore lo colloca “tre mesi prima che avvenisse la scarcerazione di Eduardo Contini”, esponente di primo piano della camorra napoletana contro cui erano in guerra i Misso. Il più anziano degli interlocutori precisò che Misso “non sarebbe stato da solo in questa opera finalizzata a garantire una specie di assestamento e ad evitare una guerra di camorra”.

L’uomo rivelò che “di lì’ a poco un suo amico sarebbe stato scarcerato e che lui, quindi, avrebbe dovuto accodarsi. Disse che loro sapevano bene quali erano le nostre difficoltà economiche e che però si sarebbe aperta per noi una prospettiva diversa ed avremmo potuto guadagnare molto”.

“La persona anziana – ha aggiunto – invitò mio zio a considerare che ormai i tempi erano cambiati e che comunque loro sarebbero stati presenti in questa situazione almeno sino a quando mio zio non si sarebbe di nuovo esposto. Il colloquio terminò senza che venissero pronunciate parole esplicite o di rassicurazione. Anzi, in verità, tutta la conversazione fu allusiva e nessuno disse parole chiare ed esplicite”.

Ma chi erano i due interlocutori? “Compresi che appartenevano alle istituzioni, forse ai servizi segreti, e che in sostanza dicevano a mio zio che doveva adoperarsi per impedire una guerra di camorra e che l’unica cautela per lui e per la sua vita era quella di limitarsi a fare il criminale senza pensare a cose diverse e riguardanti le istituzioni”.

“Dopo un po’ di tempo – racconta il collaboratore di giustizia – avvenne con modalità molto singolari la scarcerazione di Eduardo Contini e quasi subito dopo Contini fece una offerta insistita e reiterata di pace a mio zio. Ho già spiegato in altri verbali la modalità e i tempi in cui intervenne l’accordo tra mio zio e Contini. E’ ovvio che pensai subito alla previsione fatta dalla persona anziana nel corso del colloqui a Salerno, cioé a quell’amico di mio zio che sarebbe stato scarcerato e che si sarebbe adoperato per la pace in città. Ma anche altri successivi avvenimenti sono stati da me interpretati come manifestazione concreta di quel discorso fatto a Salerno”.

Il pentito cita l’incontro con un tale Franco, calabrese, che avrebbe proposto a Misso il monopolio sulla droga da spacciare a Napoli, una proposta che sarebbe stata rifiutata, e si sofferma sull’intervento di un altro boss della camorra, Paolo Di Lauro, che si sarebbe attivato per fare ottenere a Misso un grosso prestito di denaro: “Diceva che lui avrebbe perso quei cinquecento milioni ma che si stavano aprendo prospettive più fruttuose dal punto di vista economico e che quindi quella somma era poca cosa rispetto a ciò che stava per accadere”.

“Tante volte, prima del suo ultimo arresto – ha affermato Michelangelo Mazza – mio zio mi ripeteva che io avrei dovuto sempre adoperarmi affinché nulla succedesse nella città di Napoli, cioé non scoppiasse una guerra di camorra”. Giuseppe Misso, interrogato dai pm, non ha tuttavia confermato le dichiarazioni del nipote. “Questo racconto è assurdo e vi chiedo di mettermi a confronto con mio nipote Michelangelo”, ha detto ai magistrati.

 
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