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La scarna difesa del Cardinale Sepe sull'affaire Propaganda Fide PDF Stampa E-mail

Leggendo ai giornalisti una lettera indirizzata alla diocesi di Napoli, Sepe -- fino al 2006 a capo della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (ex Propaganda Fide) -- ha contestato punto per punto gli addebiti che gli vengono mossi dai magistrati, e che secondo il suo legale riguardano fatti "inconsistenti".

Per quanto riguarda la casa romana di via Giulia data in uso a Guido Bertolaso -- anch'egli indagato per corruzione nell'inchiesta perugina -- Sepe ha spiegato di aver saputo da Francesco Silvano, amministratore dell'ospedale Bambin Gesù, che il numero uno della Protezione Civile aveva bisogno di un alloggio.

"In prima istanza gli feci avere ospitalità presso il seminario, ma mi furono rappresentati problemi di inconciliabilità degli orari, per cui incaricai lo stesso dottor Silvano di trovare altra soluzione, della quale non mi sono occupato né sono venuto a conoscenza in seguito, sia in ordine alla ubicazione sia alle intese e alle modalità", scrive Sepe nella lettera.

Sepe è poi intervenuto sulla vendita a Lunardi di un immobile della Congregazione, definendolo un "palazzetto" che mostrava "evidenti segni di vecchiaia e precarietà".

"In un'epoca nella quale non era stata concretizzata nessuna offerta di acquisito", ha spiegato oggi il cardinale, i tecnici della Congregazione valutarono i lavori necessari da fare, e la spesa fu giudicata troppo onerosa. Da qui la decisione di vendere l'immobile, con l'onere della ristrutturazione a carico del futuro cliente.

"Solo successivamente -- scrive Sepe nella lettera -- mi fu riferito che l'onorevole Lunardi aveva espresso il proprio interesse all'acquisto, e fu avviata una trattativa che si concluse dopo diversi mesi sulla base della valutazione fatta e di quella che si aggiunse attraverso il coinvolgimento di un istituto di credito per la concessione di un mutuo. La somma appena incassata fu immediatamente trasferita all'Apsa (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica)" perché fosse destinata all'attività missionaria.

"Vado avanti con serenità, accetto la croce e perdono, dal profondo del cuore quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi", scrive Sepe nella lettera.

L'inchiesta su una serie di appalti che sarebbero stati pilotati da una presunta "cricca" di imprenditori e funzionari pubblici ha già coinvolto il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, che si è dimesso dopo la scoperta che una parte consistente della somma utilizzata per acquistare un appartamento in centro a Roma destinato alla figlia proveniva da un costruttore arrestato per corruzione, Diego Anemone.

Scajola nega di aver commesso reati.

Tra gli indagati -- in un altro troncone dell'inchiesta, su cui ora è competente la procura di Roma -- c'è anche Denis Verdini, parlamentare e coordinatore del Pdl.

 

fonte Reuters

 

 

Lettera alla Diocesi: "Dico questo per amore della verità"   

Cardinale Crescenzio Sepe

Cari fratelli e sorelle,
è  a voi della mia amata Chiesa di Napoli  che sento di dovermi rivolgere, perché un pastore deve rendere conto, in ogni momento, delle speranza che deve sorreggere la comunità a lui affidata.  Fondamento di ogni speranza è la verità. Ora il pastore della vostra  Chiesa  si trova a essere interpellato, come  ampiamente riportato in questi giorni dai mezzi di comunicazione, sul fronte di una vicenda giudiziaria, che nella sua essenza, per la fiducia che si deve alla giustizia e per il rispetto  al valore della legalità,  impone procedure e chiarimenti per i quali mi sto attivando nelle sedi opportune. 
Ma prima di consegnarla, nei modi dovuti, nelle mani della giustizia, vorrei che  questa verità passasse  da una verifica ancora più impegnativa che riguarda il rapporto, anzi il legame,  del vescovo con la sua gente. Voi avete il diritto di chiedere e di sapere; a me resta il dovere di esaudire le vostre richieste.
Tre sono gli addebiti che mi vengono fatti, per la responsabilità che ho avuto in quanto Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, e riguardano la gestione del patrimonio immobiliare che ho cercato di inventariare, recuperare e valorizzare per rispetto a quanti nel tempo ne sono stati i donatori e per tutelare le finalità, rappresentate dal sostegno alle attività missionarie nei Paesi più poveri e dimenticati della terra.
Il primo caso riguarda la concessione in uso di un alloggio al dott. Guido Bertolaso, la cui esigenza mi venne rappresentata dal dott. Francesco Silvano. In prima istanza, gli feci avere ospitalità presso il Seminario, ma mi furono rappresentati problemi di inconciliabilità degli orari, per cui incaricai lo stesso dott. Silvano di trovare altra soluzione, della quale non mi sono più occupato, né sono venuto a conoscenza, sia in ordine alla ubicazione e sia in ordine alle intese e alle modalità.
Altro coinvolgimento concerne la vendita all’on. Lunardi di un palazzetto in via dei Prefetti. Ebbene, si trattava di un immobile che presentava, in maniera evidente e seria, segni di vecchiaia e di precarietà, rappresentati più volte anche dagli stessi inquilini. Fu disposto un sopralluogo ricognitivo eseguito dai tecnici della Congregazione, i quali fecero anche una valutazione dei lavori necessari, preventivando anche la spesa che fu ritenuta troppo onerosa per le casse della Congregazione, per cui venne presa in considerazione l’opportunità della vendita. Gli stessi tecnici ne stimarono il valore, tenendo conto, evidentemente, delle condizioni dello stabile e del fatto che era occupato da inquilini il che, di per sé, comportava una sensibile decurtazione, come è noto. Fu detto che l’on. Lunardi aveva espresso il proprio interesse all’acquisto e fu avviata una trattativa che si concluse sulla base della valutazione fatta  e di quella che si aggiunse attraverso il coinvolgimento di un istituto di credito, per la concessione di un mutuo. La somma, incassata peraltro immediatamente, fu quella riportata dalla stampa e che venne trasferita all’APSA (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica), perché fosse destinata a tutta l’attività missionaria nel mondo.
La terza questione interessa i lavori di messa in sicurezza statica di un lato del Palazzo di Propaganda Fide in Piazza di Spagna a Roma, che aveva subito una modificazione strutturale, nel senso che era stato registrato un notevole distacco della parete determinato, secondo gli accertamenti tecnici effettuati, da infiltrazioni di acqua sotto il fabbricato e dalle continue vibrazioni causate dal passaggio della vicina metropolitana. Fu accertata la competenza dello Stato Italiano e furono eseguiti lavori di ripristino e ristrutturazione, con onere parzialmente a carico della pubblica amministrazione.
In tutta questa attività e rispetto ai casi sopra indicati, come pure in altre situazioni precedenti o successive, mi sono sempre avvalso della consulenza specifica di tre persone che avevano titoli ed esperienza per assicurarmi, in ragione della loro attività professionale, un qualificato contributo di pensiero e di soluzione: il dott. De Lise, magistrato; il dott. Balducci, all’epoca  Provveditore alle Opere Pubbliche del Lazio; il dott. Silvano, amministratore dell’Ospedale Bambin Gesù, mio collaboratore già durante il Giubileo.
Tutto ho fatto, comunque, nella massima trasparenza, avendo i bilanci puntualmente approvati dalla Prefettura per gli affari economici e dalla Segreteria di Stato, la quale, con una lettera, inviatami a conclusione del mio mandato di Prefetto, volle finanche esprimere apprezzamento e stima per la gestione amministrativa.
Dico questo per amore della verità, nella consapevolezza di avere sempre agito secondo coscienza, avendo come unico obiettivo il bene della Chiesa.
Questi i fatti, come li ricordo. Ma neppure una vicenda giudiziaria può giustificare una così fredda elencazione di eventi, senza mettere in campo una serie di altri elementi essenziali, primo fra tutti, il percorso di una vita sacerdotale, nel quale la Croce non è mai un intoppo ma il segno della appartenenza a Cristo.
Accolgo così, in tutta umiltà,  la prova che oggi mi tocca; ma accanto ad essa avverto anche la forza di una serenità che  non può nascere a caso, maturata via via attraverso i diversi passaggi che da sacerdote, nel servizio diplomatico alla Santa Sede, prima in Brasile poi come assessore in Segreteria di Stato,  mi hanno condotto all’ordinazione episcopale, con la nomina a segretario della Congregazione per il Clero. Ho poi vissuto l’esaltante  esperienza del Grande Giubileo dell’Anno Duemila, uno straordinario  evento ecclesiale, nella scia aperta dal Concilio Vaticano II.  Giovanni Paolo II lo volle come un evento profetico, passaggio tra due millenni, annuncio del Vangelo nel cambiamento del mondo. L’esperienza della gioia vissuta in quel grande evento l’ho portata nel mio servizio a Propaganda Fide, nei tanti viaggi internazionali, nei continui contatti con i Vescovi,  nell’accoglienza di chiunque avesse avuto bisogno di incoraggiamento e di aiuto nel ministero missionario. Infine la chiamata a Napoli,  la terra che il Signore aveva scelto per il mio ministero pastorale di Padre.  Il Santo Padre Benedetto XVI mi disse che, da più parti, si indicava il mio nome per Napoli e mi chiedeva che ne pensassi. Chiesi un po’ di tempo per riflettere e poi diedi  la mia risposta: “Santità, il mio cuore già batte per Napoli! Vorrei, Santo Padre, che gli ultimi anni della mia vita fossero al servizio della Chiesa nell’azione pastorale, tra la gente!  Il Papa mi ricordò che avrei potuto svolgerlo ancora nella curia romana, ma io ero felice di aver scelto di ubbidire allo Spirito che mi inviava in questa nostra amata terra. Felice resto di quello che con voi, sacerdoti e fedeli,  ogni giorno riesco a vivere in obbedienza alla verità di Cristo, al servizio degli ultimi, nel proclamare la giustizia. Ma non posso dimenticare che questo viaggio,  brevemente  ripercorso, nasce dall’esempio di mio padre e mia madre, gente di sudore e di terra che conosce il patire e la parola data , che mi hanno insegnato l’onore e il coraggio della verità. Se a loro debbo tanto, innanzitutto la vita, a loro debbo consegnare la fedeltà a quella verità che oggi, senza paura, professo e testimonio.
Perciò, carissimi, vado avanti con serenità, accetto la Croce e perdono, dal profondo del cuore, quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi.
Guardo, con rinnovata fiducia a Cristo che servo, senza risparmiarmi, nella sua santa Chiesa, sempre perseguitata.
La verità vincerà!
Sono convinto che da questa inattesa prova usciremo tutti più forti, per continuare a compiere insieme la missione che Cristo ci ha affidato!
Chiedo a tutti di sostenermi con la preghiera e, con amore di Padre, vi benedico!
‘A Maronna c’accumpagna!

Ultimo aggiornamento Martedì 22 Giugno 2010 05:32
 
Indagato il Cardinale Sepe di Carinaro per lo scandalo Propaganda Fide PDF Stampa E-mail

Scandalo Propaganda Fide, indagato Crescenzio Sepe

L’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, 67 anni, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Perugia in seguito all’uso degli immobili di proprietà della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ex Propaganda Fide, di cui è stato prefetto dal 2001 al 2006. Gli immobili, secondo quanto sembrerebbe emergere dall’indagine, sarebbero stati concessi a prezzi di favore o affittati gratis a importanti politici italiani: quegli stessi che, in qualità di responsabili di ministeri o dipartimenti, avrebbero concesso al Vaticano e alla Chiesa economica italiana importanti contributi e privilegi. Anche l’ex ministro Pietro Lunardi ha ricevuto un avviso di garanzia.

 
Arrestato il figlio di Sandokan Nicola Schiavone PDF Stampa E-mail

La polizia ha arrestato il 15 giugno 2010 in provincia di Caserta Nicola Schiavone, figlio del boss dei casalesi Francesco Schiavone detto "Sandokan".

Lo ha annunciato la squadra mobile di Caserta.

Nicola Schiavone, classe '78, è stato trovato nel corso di un blitz in un villino isolato a Casal di Principe, comune roccaforte del clan dei Casalesi.

Come il padre, anche Nicola Schiavone amava dipingere. Nella casa infatti, ha riferito la polizia, è stata ritrovata una stanza dedicata alla pittura, con colori, pennelli, tele e due quadri.

Secondo gli inquirenti, dopo l'arresto del padre Nicola Schiavone è diventato uno dei reggenti del clan composto da diverse fazioni.

Nicola Schiavone era ricercato "da alcuni mesi per alcuni episodi per i quali vi era esigenza di rintracciarlo ma la prima ordinanza di circa un mese e mazzo fa gli è stata recapitata per un triplice omicidio di cui è ritenuto mandante", ha spiegato a Reuters il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, che coordina la sezione della Dda di Napoli impegnata a indagare nell'area casertana.

Secondo gli inquirenti, Nicola Schiavone avrebbe fatto uccidere tre uomini affiliati al clan ma più vicini alla fazione Bidognetti, che avevano chiesto una tangente a un caseificio appartenente al cugino del boss Sandokan.

Ultimo aggiornamento Domenica 26 Febbraio 2017 05:47
 
Daniele Sepe attacca Saviano PDF Stampa E-mail

Al grido di “Gomorra è l’icona di una maniera di guardare al problema criminale in maniera benpensante” Daniele Sepe, “musicista e comunista” napoletano, è uno dei relatori del dibattito che da giorni sta impegnando la sinistra sul tema “L’intangibilità di Saviano”. A mettere sul campo l’argomento un pamphlet di Alessandro Dal Lago, “Eroi di Carta”, con il quale l’antropologo avanza alcune critiche sullo stile e sui contenuti di Gomorra: una rappresentazione della criminalità priva di sfumature, una teatralizzazione del soggetto narrante troppo vicina alla marmorizzazione, uno stile a volte ingenuo.

“Le argomentazioni di Dal Lago le trovo corrette, ma sono i soggetti di uno studioso- ci dice Sepe. Io penso che della camorra se ne sia data un’interpretazione eccessivamente classista, come se il problema riguardasse solo una parte sociale. I colletti bianchi quante volte sono tirati in mezzo nel libro di Saviano?”. E’ proprio ai colletti bianchi l’irriverente sassofonista dedica una canzone del suo ultimo cd “Fessbuk- buonanotte al manicomio” (etichetta Manifesto), traduzione in bellissimo jazz di temi discussi sul suo profilo della più nota piazza virtuale: “Certi fenomeni, e tra questo sicuramente quello camorristico, nascono perché sono funzionali al sistema, basato su una società del consumo. Si vive per consumare. Di queste sottigliezze non ci sta traccia nel libro, dove, invece a piene mani, si attinge alle ricette che piacerebbero persino a un elettore del movimento sociale. Più carcere duro, più ergastoli, più operazioni di polizia. Più legge, più ordine. E’ questa la bussola interpretativa della sinistra radicale? Non è meglio fidarsi di Brecht, secondo cui la fondazione di una banca è più grave della sua effrazione?”.

Non si tratta solo di provocazioni. E, se lo sono, hanno il merito di superare i confini del “gomorrismo”. Si tratta infatti di questioni identitarie, di spettri capaci di fare da specchio a una sinistra che si trova tragicamente senza alfabeto. C’è la condanna a Dal Lago di Luciano Violante, che parla di icona violata, l’appello lanciato sul “Fatto quotidiano” a dedicarsi ad altro, invece di leggere “Eroi di Carta”, buono solo a screditare. C’è l’editoriale di Norma Rangeri sul Manifesto, che sembra quasi una lettera di scuse al popolo di sinistra per aver pubblicato sia Dal Lago che Sepe sotto la propria etichetta.

Da un lato c’è chi propone con forza l’assioma in base al quale ogni critica a Gomorra si traduce in una delegittimazione immotivata e crudele, soprattutto perché destinata a Saviano, che, intanto, vive in una specie di esilio. Dall’altra chi afferma la propria libertà di critica, facendo notare che gli eroi solitari sono utili più a creare martiri che impegno politico. Che Gomorra è arrivato al grande pubblico anche grazie a un sottofondo populista fatto molto di giustizialismo facilmente spendibile. I toni sono stati spesso aspri, ma hanno avuto il merito di rianimare l’agenda di una sinistra troppo affollata, nei temi e nei modi, da suggestioni della destra.

A Daniele Sepe sono arrivate lettere dure, di protesta. Alcune anche denigratorie. Ha ricevuto molte domande sull’argomento durante le presentazioni del cd alle quali si è presentato sempre accompagnato da Oreste Scalzone “uno dei pochi a dire ancora cose comuniste”. Ha ricevuto aspre critiche ed ha anche risposto, tentando di uscire dall’angolo di folklore dal quale hanno tentato di cacciarlo in molti, spinti soprattutto dall’esegesi della canzone “Cronache di Napoli” nella quale lo scrittore viene contestato, definito “manovrato”. “Una canzone è una canzone – dice Sepe. E io difendo la possibilità di contestare la visione di Saviano come esperto di camorra. Mantengo aperta la possibilità di evidenziare le imprecisioni e le inesattezze contenute nel libro, che nessuno si è preso la briga di verificare. E vorrei anche lasciare aperta la porta a una diversa interpretazione delle cose. Saviano è arrivato al grande popolo, è stato letto da tutti anche perché ha fatto leva su sentimenti facili da attizzare. Gli stessi sentimenti cari agli elettori della Lega. La borghesia non vuole problemi e tende a semplificare i problemi in modo da non dover assumersi alcuna responsabilità. Io mi chiedo: ma a sinistra oggi come verrebbe definito Gaetano Bresci? Io credo che verrebbe definito un criminale. Stiamo perdendo la nostra tradizione anarchica e comunista. Senza accorgercene, silenziosamente, siamo diventati un paese fascista. Dove il pensiero è sempre più pericolosamente ‘unico’”.

 

da Gli Altri - articolo di Giovanna Ferrara

 
14 arresti al clan dei casalesi PDF Stampa E-mail

Un'ordinanza di custodia cautelare a carico di 14 persone è stata eseguita dai carabinieri del Comando provinciale di Caserta su ordine del pm della Direzione distrettuale antimafia. I quattordici sarebbero appartenenti al clan capeggiato da Francesco Bidognetti, detto "Cicciotto 'e mezzanotte".

Cinque degli arrestati si trovavano già in carcere e hanno ricevuto il provvedimento in cella. Gli altri 9 sono stati arrestati nelle proprie abitazioni. Tra i destinatari dell'ordinanza vi è proprio Bidognetti, già detenuto da oltre 10 anni. È stato invece arrestato nella propria abitazione un avvocato del Foro di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), difensore di alcuni esponenti di spicco del clan, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Arrestati anche il genero di Bidognetti e un imprenditore che avrebbe partecipato agli appalti per i lavori alla Maddalena. Provvedimento anche a Giovanni Letizia, già in carcere e accusato di essere uno dei killer del capo dell'ala stragista dei Casalesi Giuseppe Setola.

Dagli accertamenti dei carabinieri è emersa anche una consistente attività di riciclaggio attuata attraverso la gestione di agenzie di onoranze funebri e di imprese edili e l'intestazione a prestanome beni mobili ed immobili, riconducibili invece proprio a Bidognetti. Tali beni erano stati acquisiti anche attraverso la figura di Carmine Diana, imprenditore, titolare della "Impregica", ditta già venuta alla ribalta nell'inchiesta sui grandi appalti del G8 a La Maddalena. I carabinieri hanno anche accertato il tentativo di indurre, con minacce e promesse di danaro, alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Domenico Bidognetti, nipote di Francesco Bidognetti, Anna Carrino, per anni compagna del boss, Massimo Iovine e Luigi Guida, a non rendere dichiarazioni agli investigatori. Sono state, infine, accertate alleanze della famiglia Bidognetti con clan del Napoletano ed uno stretto rapporto con la famiglia di Michele Zagaria, latitante da oltre 14 anni.

Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, subornazione, induzione a non rendere dichiarazioni all'Autorità Giudiziaria, riciclaggio e intestazione fittizia di beni, con l'aggravante del metodo mafioso. - 3 giugno 2010 -

 
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