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Guerra in Libia. I moventi, i costi, le conseguenze PDF Stampa E-mail

Guerra in Libia. I moventi, i costi, le conseguenze

 

I moventi possibili di un attacco, presentato ancora una volta come umanitario, che minaccia di tradursi in un disastro di lungo periodo, alle porte di una Europa che rischia di pagare un conto elevatissimo.

 

di Carlo Ruta

 

 

In Libia è partita una guerra, che i governi dell’Occidente e gran parte dei mezzi d’informazione presentano ancora una volta come umanitaria. Di cosa si tratta realmente? Per comprendere quanto sia credibile tale motivo, è utile partire da un paio di dati storici recenti. Israele alcuni anni fa ha pianificato e attuato in Palestina una operazione che ha denominato con coerenza «piombo fuso». L’esito è stato di qualche migliaio di morti, quasi tutti civili. Ma nessuno ha minacciato una guerra «umanitaria». Nessuno si è guardato bene dal metterla in opera, come nessuno si era esposto a tanto già nella precedente operazione «Pace in Galilea», dagli esiti analoghi. Altro caso istruttivo è quello dello sterminio delle popolazioni cecene pianificato e attuato da circa venti anni dai governi della Russia, prima con Eltsin poi con Putin. Si tratta per certi versi di una guerra infinita, che ha provocato centinaia di migliaia di morti, in massima parte civili. Fino ad oggi nessuno Stato ha invocato però l’avvio di guerre «umanitarie». Nella Libia di Gheddafi tale tipo di azione, in difesa dei diritti delle popolazioni, è stata invece voluta risolutamente dalle nazioni forti dell’Occidente, su input degli Stati Uniti e con la convalida del consiglio di sicurezza dell’ONU. A quali costi, in termini di vite umane?

 

In Libia è in atto una virulenta repressione di regime, che in un mese ha fatto centinaia di morti, forse qualche migliaio. Ma l’attacco «umanitario» promette di tradursi in una ecatombe, con numeri di vittime di molto superiori. Gli strateghi della Nato e del Pentagono sono troppo avvertiti per non mettere nel conto esiti di questo tipo, trattandosi di disarticolare una forza militare che, allo stato delle cose, non è di poco conto. Non solo. È prevedibile che occorra neutralizzare le reti militari non convenzionali, anche queste non indifferenti, costituite anzitutto dalle unità terroristiche e mercenarie del regime di Gheddafi. E, come testimoniano le casistiche belliche degli ultimi decenni, se si intende centrare quest’ultimo obiettivo, le stragi di civili, dette comunemente «effetti collaterali», tanto più difficilmente saranno evitabili. Nelle prime fasi della guerra preventiva in Iraq, per eliminare cellule del regime deposto, i comandi americani non hanno esitato a pianificare a Baghdad la distruzione di interi isolati in cui risultavano annidate, con l’uccisione di tutti i civili che li abitavano. E, come attestano numerose cronache, tale regola non scritta ha funzionato e vige ancora in Afghanistan.

 

Le guerre «umanitarie» hanno avuto fino ad oggi un decorso istruttivo. Se ne ricordano due recenti, per certi versi emblematiche: quella in Somalia, nel 1992-93, e quella in Kosovo del 1999. La prima, un po’ per convincimenti strategici errati, un po’ per imperizia dei comandi sul terreno, è degenerata presto in una carneficina «umanitaria» che ha raggiunto l’acme nella battaglia del Checkpoint del 2 luglio 1993, chiusasi, secondo fonti ufficiose, con centinaia di morti civili. Le folle somale, di cui si facevano scudo i miliziani di Aidid e di altre fazioni, hanno saldato poi il conto, con stragi dei «benefattori» occidentali. Infine questi ultimi, resisi conto della palude in cui erano sprofondati, con un nemico che finiva con il combaciare in tutto e per tutto con l’intera popolazione, hanno dovuto uscirsene, lasciando una situazione tragica. Ancora oggi la Somalia, come il Darfur, costituisce una terra di nessuno, in ostaggio ai signori della guerra, ai pirati e alle reti islamiche. La «guerra umanitaria» del Kosovo, condotta dalla Nato, non è stata da meno. È stata scatenata per impedire le stragi etniche di Milosevic, che avevano prodotto alcune centinaia di morti. Si è verificato però un inconveniente. Le stragi di civili compiute dagli alleati atlantici, note appunto come effetti collaterali, hanno superato di gran lunga quei numeri. Sono state fatte stime di decine di migliaia di morti. Non solo. È stato certificato che i medesimi hanno fatto impiego, per fini offensivi, di uranio impoverito, con effetti dannosi sulle popolazioni che insistono ancora oggi. Infine una nota ugualmente tragica. Come ha dovuto riconoscere di recente la stessa Unione Europea, il Kosovo, sottratto con la forza a Milosevic e riconosciuto di recente come paese sovrano, costituisce il primo narco-Stato d’Europa, sotto l’egida di un personale tipicamente criminale. Questo paese, incuneato nel centro esatto del continente, tra Oriente e Occidente, suggerisce altresì norme di comportamento ai paesi contigui, come l’Albania, invasa anch’essa dall’eroina e finita intanto, come altri paesi, alle soglie del default.

 

Sul terreno, le guerre «umanitarie» presentano in definitiva un saldo negativo. Restano poi un affare complesso, e dai contenuti vaghi. Anche quella del Vietnam, da cui sono scaturiti circa 3 milioni di morti, di cui i due terzi civili, è stata giustificata alla vigilia dello scatenamento come tale. E si è oltre il paradosso. È legittimo allora un interrogativo: escludendo la guerra, si sarebbe potuto adottare altro mezzo per soccorrere le popolazioni colpite dal regime di Gheddafi? Si direbbe di sì. L’Onu avrebbe potuto deliberare, per esempio, una soluzione pacifica e realmente umanitaria, come quella adottata nell’ultimo mezzo secolo in numerosi casi, dal Libano al Ruanda, dalla Bosnia all’Ossezia. Avrebbe potuto sancire, in particolare, l’impiego, per quanto possibile, di una forza d’interposizione tra le parti in conflitto, tale da fare scudo anzitutto sulle popolazioni, propedeutica altresì a un possibile cessate il fuoco. L’inaffidabilità del Raìs è evidentemente un aspetto che non può essere minimizzato. Ma si sarebbe potuto tentare. Un contributo forte sarebbe potuto venire poi dalle regioni interessate. l’Unione Africana, l’organizzazione sovranazionale cui fanno riferimento tutti i paesi africani ad esclusione del Marocco, ha assunto una posizione netta, contraria all’attacco militare degli Usa e di altri paesi forti dell’Occidente. Si candidava in questo modo a intervenire sulla vicenda, in modo autonomo, sul piano diplomatico e non solo. Ma, a dispetto della decolonizzazione, la parola del continente nero non ha contato praticamente nulla.

 

La decisione bellica era già presa? È quanto sembrano suggerire, tra l’altro, i deficit operativi della vigilia. Dopo la risoluzione dell’Onu sarebbe dovuto ripartire, con perentorietà, il pressing diplomatico dei governi, per indurre il dittatore libico a fare dei passi indietro, se non addirittura a riporre il potere nelle mani del popolo. Ma, saltando a piè pari le prassi più coerenti con il motivo umanitario, è scattato l’attacco dopo poche ore. Cosa ha sollecitato allora gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra e altri paesi europei a questa guerra, che si annuncia appunto più sanguinosa di quanto sia stata fino a oggi la repressione di Gheddafi? Il bottino del petrolio e dei gas naturali costituisce un buon movente, per le problematiche energetiche chi investono i paesi più industrializzati. La situazione sembra presentare tuttavia aspetti più compositi. Di primo acchito, la crisi del Maghreb, che ha fatto aumentare di molto il prezzo del greggio, ha generato apprensione nei governi europei che per decenni, in un quadro di stabilità strategica, avevano fatto affari con i regimi di Ben Ali, Mubarak e Gheddafi. Passata però la concitazione delle prime settimane, nei medesimi ambienti sono andate manifestandosi logiche di vario genere, incluse quelle di livello egemonico. I fatti del Nord Africa, da quel che è emerso dalle cronache, non sembrano invece aver colto di sorpresa la Casa Bianca e il Pentagono, che sin da subito hanno mostrato l’intenzione di intervenire sui processi in atto. Ma per quali scopi?

 

A prescindere da tutto, l’arroccamento degli Stati Uniti in Libia, anche a costi di vite umane elevatissimi, come in Afghanistan e in Iraq, suggerisce un disegno strategico oltre che economico, di controllo dell’area, atto a impedire, verosimilmente, che nei paesi interessati dalla rivolta popolare, dal Maghreb al Medio Oriente, possano prevalere nel medio periodo politiche antiamericane. E tale linea, adottata in tutte le regioni del globo, appare compatibile con le mire degli Stati europei interventisti. La Francia governata da Sarcozy, finita negli ultimi anni zero dietro l’Italia per Prodotto interno lordo, tanto più attirata quindi dalle risorse energetiche del Nord Africa, e non solo, ha motivi per rinegoziare il proprio ruolo di potenza. L’Italia di Berlusconi, come ostentano le testate governative, ritiene che l’adesione al conflitto sia un passo necessario, per poter contare in Europa e far valere il settimo posto tra le potenze industriali del globo. L’Inghilterra di Cameron, che ha registrato nel biennio 2008-2009 un vero e proprio crollo del Pil, da cui non riemergerà facilmente, ha buoni motivi per ampliare i propri interessi economici nel Nord Africa e, soprattutto, in chiave geopolitica, per riprendere quota lungo la regione mediterranea, dopo oltre cinquanta anni dall’umiliazione di Suez. Ma forse, come è accaduto in Iraq e in Afghanistan, tali convitati, pur destinati a vincere in poco tempo la guerra convenzionale, hanno fatto male i conti. La presa di distanza della Germania di Angela Merkel appare al riguardo significativa, come in Italia la dissociazione della Lega di Bossi, che pure partecipa al governo. In definitiva, si vorrebbe stabilizzare l’area sotto l’egida delle potenze occidentali, ma l’esito potrebbe essere quello di un disordine lungo e tragico, alle porte dell’Europa, e, forse, dentro l’Europa.

 
Saviano sputa nel piatto della Rai! PDF Stampa E-mail
Martedì 08 Marzo 2011 18:57

Ancora parli?

I soldi li hai presi,

gli ospiti che volevi li hai avuti,

i tuoi monologhi li hai rappresentati,

ma che altro vuoi dalla Rai?

Non sputare sempre nel piatto dove  hai mangiato e

dove sicuramente prossimamente ritornerai a mangiare!

A proposito qualora non lo ricordassi il produttore

della tua trasmissione è stato Endemol di cui

la famiglia Berlusconi è l'azionista di riferimento.

Sempre a proposito Gomorra te l'ha pubblicato

la Mondadori sempre di Berlusconi!

 

 
Banca di Credito Cooperativo di Aversa: colpire i reali responsabili PDF Stampa E-mail
Scritto da Luigi Cangiano   
Sabato 19 Febbraio 2011 08:50
Quasi due anni fa tentai di fare una vera inchiesta giornalistica sul caso BCC di Aversa richiesi notizie sulla vicenda persino alla Banca d'Italia su questa situazione.
Era il momento della messa in liquidazione coatta amministrativa della BCC di Aversa, una procedura che venne iscritta nella pubblicità legale della stessa banca solo dopo molto tempo da parte degli uffici della Camera di Commercio di Caserta.
Segnalammo questa situazione alla Banca d'Italia la quale rispose con una non risposta, trincerandosi dietro normative regolamentari che prevedevano il riserbo sulla faccenda.
Seguo il "caso BCC di Aversa" da molto prima, non fosse altro perché operatori della stessa in fase di costituzione, vennero a bussare anche alla porta di mio padre, notissimo ex imprenditore dell'agro-aversano, il quale anche su mio consiglio allontanò, grazie al cielo, repentinamente questi sedicenti banchieri.
Il crack delle BCC di Aversa è a mio modo di vedere collegabile a speculazioni finanziarie che alcuni dei soggetti coinvolti nella recente inchiesta della magistratura tentarono di porre in essere, rimettendoci però le penne al momento dello scoppio della bolla speculativa che coinvolse tutte le borse mondiali nel 2008.
A mio modo di vedere non sono stati ancora completamente colpiti i reali responsabili di tali operazioni.
La magistratura dovrebbe approfondire le singole posizioni dei vari consiglieri di amministrazione della BCC di Aversa. Dovrebbe, in particolare, guardare bene chi fra i consiglieri di amministrazione ha avuto negli anni del crack altre società localizzate anche nel nord Italia, che si occupavano probabilmente anche senza averne i requisiti professionali richiesti ed in dispregio di tutte le normative in materia, di intermediazione mobiliare (ossia, in parole povere, di acquisto e vendita di azioni).
Spero che questa mia segnalazione possa essere di aiuto alla magistratura per la ricerca dei reali responsabili del crack della Banca di Credito Cooperativo di Aversa.
Si colpiscano i reali responsabili e paghino il loro debito con la giustizia e con la cassa della banca!
 
Teverola. Stop Camorra contro sgombero mercatino delle pulci PDF Stampa E-mail
Domenica 12 Dicembre 2010 08:59

AL COMUNE DI TEVEROLA SI COMBATTONO I ROBIVECCHI

MENTRE PROSTITUTE, LADRI E MONNEZZA

DILAGANO SENZA CHE NESSUNO MUOVA UN DITO!

 

Teverola. Questo comunicato stampa vuole essere un appello al sindaco di Teverola dott. Lusini ed a tutta la sua amministrazione comunale.

 

Dobbiamo denunciare con forza quanto è avvenuto stamane (domenica 12 dicembre 2010) a Teverola nei confronti di privati cittadini, che quasi ogni domenica si riuniscono in una strada della “famigerata” zona industriale ASI per cercare di vendere qualche oggetto usato raccattato qua e la e non certo frutto di furti o di chissà quali altre ruberie.

 

Per esperienza personale, essendo un assiduo frequentatore di tale area industriale e di tale “mercatino dell’usato” debbo segnalare al signor Sindaco di Teverola ed a tutta la sua amministrazione, che il 95% dei “venditori” sono italiani ed un 5% stranieri (marocchini, tunisini e qualche rom). Si tratta per il 99,9% di persone oneste, che cercano di portare a casa, in questo tempo di crisi, qualche euro per mandare avanti le loro famiglie.

 

In passato abbiamo denunciato fatti gravissimi che avvenivano ed ancora avvengono nell’Area Asi e nel Comune di Teverola. In questa area industriale, nelle strade limitrofe e persino sulla strada statale 7 bis, si esercita ad ogni ora della giornata il mestiere più antico del mondo, purtroppo, non abbiamo mai visto auto della polizia locale di Teverola fare controlli e fare andare via chi esercita questo vero scempio dell’umanità, davanti agli occhi di donne e bambini che passano per la strada e non possono non vedere simili oscenità. Il comune di Gricignano d’Aversa ha preso dei seri provvedimenti in proposito di prostituzione e di controlli a tappeto del territorio, addirittura con sistemi di videosorveglianza, non ci risulta che ciò sia stato fatto a Teverola ed anche, qualora, fosse stato deciso formalmente, sicuramente non è stato messo mai in pratica, visto che la prostituzione nel comune di Teverola dilaga.

 

In passato abbiamo denunciato come nell’Area Asi siano sorte imprese unicamente per rubare fondi pubblici, molto spesso con connivenze negli uffici comunali, molte inchieste al riguardo sono ancora in corso e speriamo vivamente che la magistratura compia il suo cammino in fretta. Non abbiamo mai ascoltato parole al riguardo da parte del Sindaco di Teverola Lusini.

 

In passato abbiamo denunciato come nell’Area Asi si svolgessero corse clandestine, con cavalli portati in loco addirittura con van professionali per trasporto cavalli ed entourage di “camorristi” al seguito, con auto da cento, duecento mila euro, parcheggiate lungo la pista. Al riguardo non abbiamo mai visto la polizia locale fare controlli, se non dopo la nostra denuncia, e grazie a noi di Stop Camorra oggi sono quasi tre anni che queste corse clandestine non si svolgono più.

 

Usare oggi la polizia locale per fare sgomberare questa decina di misere bancarelle è un’oscenità pubblica. E’ un usare il pugno di ferro dove non serve, mentre si continua ad utilizzare il guanto di velluto dove servirebbe!

 

Ci assale un dubbio, forse, questa decina di misere bancarelle da fastidio ai due centri commerciali sorti sul territorio di Teverola?

 

Vogliamo ricordare a tutta la comunità che alcuni centri commerciali almeno in parte, sono sorti, su territori che dovevano servire per insediamenti di natura industriale e non certo per fantasmagoriche imprese commerciali che stanno portando alla morte gli antichi negozi nei centri delle città e dei paesi.

 

Purtroppo negli anni passati così sono state gestite le cose e territori a destinazione industriale (espropriati a quattro lire ai proprietari) sono diventati di natura commerciale decuplicando il loro valore. La più grande l’hanno compiuta nell’Interporto Maddaloni-Marcianise, dove una parte dei terreni espropriati (a quattro lire) per fare appunto l’interporto è poi diventato il suolo commerciale dove si è costruito il centro Campania.

 

Come vede sindaco Lusini, ci sono problemi da affrontare e da approfondire  molto più complessi, che non sgomberare qualche decina di cittadini, che per cercare di portare una misera minestra a casa, cercano di vendere qualche oggetto usato, ricevuto in regalo o raccattato qua e la per strada, fra i rifiuti che le persone ricche buttano. Facciamo notare che anche legalmente, la posizione di questi cittadini è a nostro avviso perfettamente in regola. In quanto non si tratta di persone che professionalmente svolgono questo lavoro, ossia, non si tratta di imprenditori e, quindi, non debbono avere alcun tipo di licenza ambulante per svolgere questo genere di attività.

Un consiglio che diamo al Comune di Teverola è di incentivare e magari di “regolare” questa attività, facendo formare un’associazione fra tutti questi privati cittadini e fra gli altri che volessero, in seguito, entrarne a farne parte e concedendo allo scopo l’area della fiera settimanale. Arriverebbero a Teverola, tantissime persone, perché i mercatini delle pulci, hanno un’anima ed un cuore, che neppure il più fantasmagorico e luminescente centro commerciale potrà mai avere!

Ultimo aggiornamento Domenica 12 Dicembre 2010 09:15
 
Don Aniello Manganiello un prete scomodo alla politica del pensiero unico di Gomorra PDF Stampa E-mail
Scritto da Luigi Cangiano   
Lunedì 01 Novembre 2010 08:23

Beati i perseguitati a causa mia" diceva Gesù nel vangelo e forse se c’è una persona che davvero rientra tra questi è Don Aniello Manganiello, per sedici anni parroco della chiesa di S.Maria della Provvidenza, a Scampia. In sedici anni ha strappato alla manovalanza della criminalità organizzata tantissimi giovani, usò comportamenti duri per combattere la camorra, ad esempio rifiutava di dare la comunione ai camorristi o di battezzare i loro figli, segnando così la differenza tra religione vera e 

"Beati i perseguitati a causa mia" diceva Gesù nel Vangelo e forse se c'è una persona che davvero rientra tra questi è Don Aniello Manganiello, per sedici anni parroco della chiesa di S.Maria della Provvidenza, a Scampia. In sedici anni ha strappato alla manovalanza della criminalità organizzata tantissimi giovani, usò comportamenti duri per combattere la camorra, ad esempio rifiutava di dare la comunione ai camorristi o di battezzare i loro figli, segnando così la differenza tra religione vera e superstizione propria di certi boss con le case piene di immagini di Padre Pio.

Tonino Torre, ex boss e ora credente cattolico che vive di lavori umili e onesti, Davide Cerullo, ex pusher dei Di Lauro, ora padre di famiglia, autore di un libro che gira l'Italia parlando di legalità, sono solo due delle tante pecorelle smarrite a cui Don Aniello a regalato una nuova vita. Ha denunciato, andando contro tutto e tutti.

Numerose le minacce da lui subite, anche dopo un'intervista alle Iene, in cui portò la troupe televisiva nei luoghi dello spaccio e del pizzo. Ma gli ostacoli più grandi Don Aniello li ha incontrati e tutt'ora continua a incontrarli nella politica, quando denunciò la collusione della politica con la camorra, il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, minacciò di querelarlo. Ha parlato di porgere l'altra guancia in un luogo dove la vendetta è la forma di giustizia suprema, è stato vicino ai deboli, agli ultimi che, purtroppo, non saranno mai primi. E nonostante le enormi difficoltà questo prete con il viso magro e gli occhiali è riuscito a compiere un miracolo: accendere una piccola luce di speranza e di legalità nel quartier generale della camorra.

Ma tutto questo non ha importanza, o forse ne ha fin troppa, ed è per questo che il 10 ottobre Don Aniello è stato costretto a celebrare la sua ultima Messa a Scampia, tra le lacrime di una comunità che gli è infinitamente grata e che ha paura che la situazione ritorni come prima. Ma, per dirla alla Dante, "vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole" e nulla può impedire il trasferimento di Don Aniello in una delle parrocchie più borghesi di Roma, dove la sua presenza non è più scomoda come a Scampia. "Motivi di avvicendamento" questa la ridicola giustificazione data dalle autorità ecclesiastiche che hanno preso la decisione, e, nonostante raccolte di firme, fiaccolate e petizioni per impedire il trasferimento di Don Aniello, il cardinale Sepe si rifiuta di dare spiegazioni dicendo che non è un affare di sua competenza. E intanto la camorra vivamente ringrazia.

 

(fonte http://www.agoravox.it/Don-Aniello-Manganiello-un-prete.html )

 

Don Aniello Manganiello ha avuto il coraggio di mettersi contro al pensiero unico dei benpensanti che seguono senza se e senza Gomorra e Roberto Saviano, ha avuto il corgaggio di dire che quella è solo fango gettato su un quartiere già difficile come Scampia! Grazie Don Aniello.

 

 

 
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