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Donne boss e donne vittime: il ruolo svolto dalle donne all’interno dei clan camorristici PDF Stampa E-mail
Scritto da Marika Cangiano   
Giovedì 27 Maggio 2021 16:14

Donne boss e donne vittime: il ruolo svolto dalle donne all’interno dei clan camorristici

Le donne di camorra hanno scritto pagine importanti della storia della malavita organizzata

napoletana: molte volte sono state più spietate degli omologhi maschili, altre invece sono state vere e

proprie "vittime" del sistema camorrista.

Genesi della camorra

Non c'è accordo tra gli studiosi sull'etimologia del termine "camorra". Tuttavia la tesi più

accreditata sostiene che "camorra" derivi dalla voce mediterranea "morra", intesa come

"confusione", "rissa", "gioco" molto popolare a Napoli. La Camorra è l'organizzazione

mafiosa nata in Campania, in particolare a Napoli. A differenza delle altre mafie italiane, essa

trae le sue origini nel contesto urbano, tra gli strati popolari della popolazione. La mafia

campana ha una struttura pulviscolare composta di gruppi differenti i quali nascono o per lo

sviluppo di gruppi criminali minori o per scissioni che intervengono in clan preesistenti. Le

aggregazioni, le scissioni e le ri-aggregazioni di gruppi criminali sono particolarmente

frequenti. Nella mondo della Camorra, a differenza di Cosa Nostra e della 'Ndrangheta, non

esiste una struttura gerarchica superiore in grado di mediare e di ridurre o impedire la

conflittualità tra i diversi gruppi delinquenziali. Questa è una delle ragioni per la quale il

tasso di conflittualità tra gruppi camorristici è particolarmente elevato. Le principali attività

della camorra sono il traffico di droga, il racket, la contraffazione e il riciclaggio di denaro.

Inoltre, non è insolito che i clan della Camorra si infiltrino nella politica delle loro rispettive

aree. Secondo il procuratore di Napoli Giovanni Melillo, durante un discorso del 2019 della

Commissione parlamentare antimafia, le forze di polizia sono concentrate sui due principali

cartelli cittadini, il clan Mazzarella e l'Alleanza di Secondigliano. Quest'ultima è un'alleanza

dei clan Licciardi, Contini e Mallardo.

La situazione corrente

Grande risalto ha avuto negli anni 2004 e 2005 la cosiddetta faida di Scampia, una guerra

scoppiata all'interno del clan Di Lauro quando alcuni affiliati decisero di mettersi in proprio

nella gestione degli stupefacenti, rivendicando così una propria autonomia e negando di fatto

gli introiti al clan Di Lauro, del boss Paolo Di Lauro, detto Ciruzzo 'o Milionario. Ma questa

faida non è l'unica contesa tra clan sul territorio napoletano. Numerose sono le frizioni e gli

scontri tra le decine di gruppi che si contendono le aree di maggiore interesse. A cavallo tra il

2005 e il 2006 ha destato scalpore nella cittadinanza e tra le forze dell'ordine la cosiddetta

"faida della Sanità", una guerra di camorra scoppiata tra lo storico clan Misso del rione

Sanità e alcuni scissionisti capeggiati dal boss Salvatore Torino, vicino ai clan di

Secondigliano; una quindicina di morti e diversi feriti nel giro di due mesi. Forme di camorra

locale radicate sul territorio, sono presenti anche nella città di Salerno, principalmente nel

quartiere Mariconda, dove è presente lo spaccio di sostanze stupefacenti e nella omonima

provincia, specialmente nell'Agro nocerino sarnese (zona già teatro, nel corso degli anni '80,

di numerosi regolamenti di conti consequenziali alla faida tra Nuova Camorra Organizzata e

Nuova Famiglia e dove sono presenti vari clan camorristici), a Cava de' Tirreni, nella Valle

dell'Irno e nella Piana del Sele; in provincia di Avellino, dove agiscono piccoli gruppi dalle

contenute dimensioni e sono egemoni i clan Cava e Graziano di Quindici, per molto tempo

coinvolti in una cruenta faida che ha generato numerose vittime nell'area del Vallo di Lauro;

e nella provincia di Benevento, dove imperversano il clan Pagnozzi (presente anche in

provincia di Avellino, specialmente in Valle Caudina), rispetto al quale sono subalterni

piccoli gruppi minori, e il clan Sparandeo di Benevento, considerati egemoni nel Sannio.

Le donne di camorra

Le donne sono presenti da sempre nelle maglie delle organizzazioni criminali. Ciò è

particolarmente vero nel caso della camorra napoletana. Tuttavia, solo nell'ultimo ventennio

esse hanno acquisito una indubbia visibilità, rivelando un universo estremamente fluido e

diversificato. «Capesse», vedette, usuraie, trafficanti di droga e anche componenti di

gruppi di fuoco, spietate assassine, abili imprenditrici dell'illecito sono soltanto alcune delle

figure in cui si possono tradurre mogli, madri, sorelle e amanti di boss e gregari dei clan. Poi

ci sono le donne sfruttate dai clan e usate, per esempio, per trasportare droga, così come ci

sono quelle che si ribellano alla violenza e all'omertà che regolano i complessi equilibri delle

famiglie criminali. Né bisogna trascurare le donne vittime della camorra; inoltre, stanno

emergendo le prime collaboratrici di giustizia, infrangendo lo stereotipo diffuso che le donne

di camorra «non parlano». Insomma, gli indizi, le suggestioni ma anche le prime riflessioni

maturate negli studi recenti vanno nella stessa direzione: l'universo femminile della camorra

emerge con sempre maggiore evidenza e può produrre configurazioni diverse non solo nel

tempo, ma anche nello spazio a secondo se prende corpo nel centro della città o in periferia.

Antonella Madonna, è stata la prima donna di camorra a pentirsi. Aveva ventisei anni e

due figlie quando, in nome del marito, “comandava” ad Ercolano. Antonella, si racconta, era

molto di più di una moglie: era la sua confidente, custodiva i suoi segreti. Conosceva nel

dettaglio i suoi traffici, condivideva con lui le scelte tattiche, aveva chiaro il bilancio del

gruppo. Fu scontato che quando suo marito Natale Dantese fu arrestato, nel marzo del

2010, lo scettro passasse a lei. Due giorni dopo l’arresto del marito si presentò in una

concessionaria di via Benedetto Cozzolino e ritirò la macchina che Dantese aveva ordinato

prima di finire in carcere. “Adesso ci sono io”, disse. Con quel gesto iniziò la scalata ai

massimi vertici dell’organizzazione criminale del “Canalone”. In carcere, quando si recava

dal marito, prendeva ogni indicazione per poter portare avanti il suo compito così da non

perdere un colpo. Incaricò, sempre in voce del marito, tutte le spedizioni punitive, le

rappresaglie che si decidevano contro chi non si piegava alle logiche della camorra. Si disse

che “la sua fu una gestione perfetta, tale da evitare che l’impero del male dal marito

giungesse al declino”. Un contesto ideale per proseguire il potere fino a quando non iniziò a

desiderare un nuovo un uomo accanto a sé. Nel 2011, Dantese fu dichiarato “capo e

promotore” del sodalizio, un boss giovane ma carismatico, capace di far trapelare dal carcere

quelle notizie che i suoi uomini aspettavano: il ministero ne dispose il trasferimento al 41bis

perché le sbarre per lui non erano un ostacolo a delinquere. Fu quell’isolamento a “spingere”

Antonella nelle mani di un altro uomo. Potere e libertà surono tali da “favorire” il

tradimento. Di sera inventava scuse per fuggire da Ercolano a Terzigno dove raggiungeva un

hotel a ore diventato il suo nido d’amore che credeva al sicuro per sé e per il suo amante. I

fratelli di Dantese la tennero d’occhio e così, sulla scia dei suoi spostamenti, documentarono

il suo tradimento. La coppia su sorpresa a letto: ci fu un pestaggio. Antonella fu riportata ad

Ercolano: suo marito, in prigione, il mese successivo ricevette la visita di sua madre, la quale

lo informò che la moglie lo aveva “disonorato”. Ma Dantese conosceva bene la madre delle

sue figlie, conscio che fosse un pericolo per lui e per il clan, ordinò ai suoi fratelli di non

infierire, di lasciarla perdere, di non provocarla. La macchina della vendetta però si era già

messa in moto. Antonella fu umiliata, terrorizzata, privata delle sue figlie che furono portate

contro la sua volontà a casa della suocera. Per questo, probabilmente, decise per l’unica

strada che le restava e fece ciò che il marito temeva: si pentì. Da qual pentimento è stata

testimone in tre processi ed è stata minacciata di morte in due occasioni. Ma dai clan di

Ercolano sono arrivati altri pentiti: tutti contro di lei per un un tentativo di vendetta

acclarato, un vero e proprio accanimento utile e contrastare ciò che lei diceva ai magistrati.

In una delle udienze in cui è comparsa collegata in videoconferenza da una località protetta

dove vive con le figlie, è emerso che alcuni degli Ascione avevano scoperto il luogo in cui si

nascondeva ed erano pronti a fargliela pagare.

Un "impero" al femminile

In molte occasioni, le donne appartenenti alla camorra si sono rivelate più capaci e spietate

dei loro omologhi al maschile, riuscendo a reggere le redini del clan per molti anni, tenere a

bada i rivali e mantenere il potere a furia di estorsioni ed omicidi. Assunta Maresca, nata

nel 1935, viene notata da Pasquale Simonetti, detto Pascalone ‘e Nola, camorrista che

gestisce il mercato ortofrutticolo insieme ad Antonio Esposito, detto Totonno ‘e Pomigliano.

I due si sposano nel 1955 e dopo pochi mesi “Pupetta” rimane vedova: Simonetti viene ucciso

da un sicario. E lei, incinta di otto mesi, si vendica uccidendo Esposito, ritenuto il mandante.

Pupetta Maresca viene arrestata e rinchiusa nel carcere di Poggioreale, che all'epoca non è

solo maschile. Scarcerata dopo 10 anni, si lega ad Umberto Ammaturo, che negli anni '80

diventa uno dei principali narcotrafficanti dell'epoca; nel 1974 il figlio di lei, che si chiama

Pasquale come il padre e che ha ormai 18 anni, sparisce nel nulla: si pensò che fosse stato

ucciso per ordine di Ammaturo, anche se le successive indagini non lo dimostreranno mai.

Anna Terracciano, la “Masculona”, è la sorella di Salvatore ‘o Nirone, boss della zona delle

Chianche dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Viene arrestata nel 2006 insieme a gran parte

della famiglia: braccio destro del fratello, bastava il suo nome nella zona a ridosso di piazza

Carità per incutere rispetto dettato dalla paura. Torna in libertà nel novembre 2017 e un

mese dopo viene arrestata di nuovo: l'accusa è di avere imposto a un commerciante di

licenziare tre dipendenti per assumere tre persone da lei segnalate. Cristina Pinto, negli

ambienti della malavita, la conoscevano col nomignolo di Nikita. Come la spietata sicaria

del film di Luc Besson, ma nella realtà: era una assassina al soldo dei clan del Rione Traiano.

Prima guardaspalle e poi compagna del boss Mario Perrella, è stata uno dei soldati nella

guerra contro i rivali del clan Puccinelli. Prende preso il comando del clan dopo l'arresto di

Perrella, la arrestano nel 1992. Lascia il carcere dopo 22 anni e prende le distanze da quel

mondo criminale. Non collaboratrice di giustizia, ma “dissociata”. Nel gennaio 2018 rimedia

una denuncia per una rissa tra sei persone, a cui aveva partecipato nonostante avesse una

gamba ingessata e le stampelle.

Martedì 25 Maggio, mamma coraggio uccisa a Napoli

Accusato di omicidio, prende la parola in aula, attacca i collaboratori di giustizia e minaccia il

pubblico ministero: "Se fossi Galasso o Alfieri[...]". È successo recentemente a Torre

Annunziata nella giornata di martedì 25 maggio, durante un delicato processo che vede

Francesco Tamarisco come imputato dell’omicidio di Matilde Sorrentino, madre coraggio

che denunciò i pedofili del rione Poverelli di Torre Annunziata come riportato dall’edizione

odierna del quotidiano Il Mattino. Francesco Tamarisco fu coinvolto anche nella vicenda dei

pedofili della scuola degli orrori del suo rione. Dopo la condanna in primo grado, arrivò

l’assoluzione in appello. Nel corso della testimonianza del pentito Aldo Del Lavale,

Tamarisco ha preso la parola dalla saletta del carcere da cui era collegato in videoconferenza.

Ha atteso qualche minuto dopo l’ammonimento della corte e poi ha rilasciato delle

dichiarazioni spontanee (non concordate con gli avvocati) relative per la maggior parte a

vicende che nulla hanno a che fare con il processo. Poi la minaccia al pubblico ministero. “Se

fossero imputati Pasquale Galasso o Carmine Alfieri qua ha detto Tamarisco allora sarebbe

diverso. Gliela facevo levare da dosso quella toga. Ma dato che io non sono Pasquale Galasso

né Carminuccio Alfieri, il dottor Filippelli fa ancora il Pubblico Ministero” ha detto

Tamarisco la cui frase, anche secondo i giudici della Corte d’Assise di Napoli, ha un chiaro

contenuto intimidatorio.

Riflessioni sulle donne impiegate nella camorra

Per capire il ruolo delle donne nella camorra basta leggere uno degli spunti tratti dal libro

Gomorra di Roberto Saviano: "...appena il padre scoppia a piangere tutte le donne della

famiglia iniziano ad urlare. Appena il capofamiglia smette tutte le donne riprendono il

silenzio." La camorra è un "sistema" inventato dagli uomini, un gioco tra maschi. Un gioco

nel quale le donne sono pegno, chiuse in casa, vittime e mute aguzzine. Sempre più spesso

però incluse e scaraventate in prima linea e allora anche più feroci degli uomini. Sostegni

silenziosi della continuità di quell'orrore, di padre in figlio, di marito in fratello, testimoni del

sangue, addestratrici di altre donne, vittime e aguzzine come loro. Sempre più spesso

sentiamo parlare di donne boss. Una situazione quasi inimmaginabile: una donna che esce

da casa con un coltello, che rapina. Donne che fanno sempre di più cose che una volta erano

prerogativa degli uomini. Spacciano droga, accoltellano, fanno le guappe e le dure ma sono

loro le vere vittime. Eppure fino a poco tempo fa nell'Italia del sud la situazione delle donne

era diversa. Non insorgevano contro gli uomini ma erano soltanto delle complici mute. Pur

sembrando esseri minori la forza femminile stava diventando protagonista. Quando gli

uomini venivano assassinati le donne, finalmente libere, personificavano l'indipendenza. Un

tempo vi erano delle regole non scritte che però tutti rispettavano: una era quella che

asseriva che la mafia (intesa come organizzazione criminale e quindi anche la camorra) era

una organizzazione patriarcale; l'altra che donne e bambini non dovevano essere uccisi.

Sembrerebbe che il boss Raffaele Cutolo andasse in giro con la moglie ed i figli proprio per

proteggersi. Ma i tempi sono cambiati ed anche le donne ed i bambini adesso vengono uccisi.

Le donne sono entrate nel mondo criminale e sono alla pari dell'uomo. Esistono diverse

categorie di donne: quelle che vivono nel lusso e nella brutalità; quelle che vogliono lottare

contro la camorra ed infine quelle che sono vittime della camorra per tutta la vita.

Marika Cangiano