Federico Perna è morto l’8 novembre. Aveva 34 anni. L’uomo è deceduto l’8 novembre: «Perdeva sangue dalla bocca, aveva bisogno di un trapianto di fegato».
Una «rigorosa indagine amministrativa interna» è stata disposta dal ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, attraverso il capo del Dap Giovanni Tamburino, sulle cause della morte di Federico Perna, avvenuta l’8 novembre nel carcere napoletano di Poggioreale. Il guardasigilli, che ha espresso «le sue condoglianze e la sua personale vicinanza alla mamma del giovane», «auspica che sulla vicenda sia fatta completa chiarezza, assicurando la massima collaborazione alla Procura della Repubblica che ha già avviato una sua inchiesta». La mamma di Federico Perna, il detenuto morto nel carcere di Poggioreale, a Napoli, l’8 novembre scorso, ha sin da subito raccontato una storia - a suo parere - piena di punti bui. Ha chiesto subito di sapere la verità e, soprattutto, ha denunciato anomalie, risposte non date. Lo ha fatto descrivendo i momenti successivi alla morte del figlio ma soprattutto quelli precedenti quando Federico stava male e quando, questa la sua denuncia, forse qualcuno non ha fatto quello che doveva fare. Trentaquattro anni, Federico da giorni perdeva sangue dalla bocca quando tossiva. Aveva bisogno di un trapianto di fegato, ha raccontato la sua mamma Nobila Scafuro. «Federico non doveva restare in carcere, ma essere ricoverato in ospedale: aveva bisogno di un trapianto ed era stato dichiarato incompatibile con la detenzione da due diversi rapporti clinici, stilati dei Dirigenti Sanitari delle carceri di Viterbo e Napoli Secondigliano - questo il racconto della mamma pochi giorni dopo la morte del figlio - Invece, da Secondigliano è stato trasferito a Poggioreale, dove le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate: sputava sangue, letteralmente, e chiedeva il ricovero disperatamente da almeno dieci giorni lamentando dolori lancinanti allo stomaco». Poi, la morte di Federico, appresa dalla famiglia «da una lettera di un compagno di cella». «Non sappiamo nemmeno dove sia morto, perché le versioni sono diverse - la denuncia della mamma - ci dicono che è morto nell’infermeria del carcere di Poggioreale, di attacco cardiaco e senza la possibilità di essere salvato con il defibrillatore, poi ci dicono che è morto in ambulanza, poi ancora che è morto prima di essere caricato in ambulanza o addirittura in ospedale, e anche su questo ci hanno nominato più di una struttura possibile”. (fonte La Stampa)
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Un caso quello di Federico che farà discutere, forse diventerà un nuovo caso Cucchi, anzi, qui la situazione sembra ancora più degradata e degradante. Un sistema penitenziario che dovrebbe puntare alla rieducazione dei detenuti, che non fa quasi nulla per metterla in pratica. Che spende e spande per attività di mera custodia, e non trova la forza di assumere personale adeguatamente numeroso dell'area educativa. Oggi a Poggioreale ogni funzionario giuridico-pedagogico dovrebbe riuscire ad ascoltare ed a seguire, quotidianamente, circa 200 detenuti, cosa materialmente ed umanamente impossibile, anche se questo lavoro fosse svolto da Santi e non da normali uomini e donne. Inoltre, troppo spesso, questi funzionari si trovano a vedere inascoltate le loro segnalazioni di criticità di alcuni detenuti.
Forse, inoltre, il caso di Federico è ancora più grave e metterà in evidenza, che il diritto alla salute deve sovrastare qualsiasi altro diritto, anche quello della certezza della pena e se proprio di pena, vogliamo parlare, bisogna dire che Federico, aveva solo qualche anno da scontare, non 20, 30 o l'ergastolo. Un differimento dell'espiazione della pena viste le circostanze, per le quali, oggi, purtroppo, siamo costretti a scrivere, era probabilmente d'obbligo per evitare questa tragedia, che il cuore spera sia l'ultima, ma che la mente già sa, purtroppo, che non lo sarà.
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